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Salvini e la nuova lega

>> venerdì 19 dicembre 2014

Quello che segue è un'importante intervento di Antonio Canova che si cimenta in un'analisi sistematica del nuovo corso leghista, con non poche considerazioni illuminanti... Buona lettura!

In politica esiste un pensiero infantile alimentato dall’idea che un sistema complesso come quello mondialista — di cui l’Italia è parte integrante — possa essere disarticolato e battuto attraverso una rivoluzione/sollevazione di popolo condotto all’assalto del Palazzo d’Inverno da una qualche élite, forconi e fucili alla mano. Per questo “pensiero estremista” (la malattia infantile di antica memoria) il punto di partenza è l’idea che il potere risieda nei Palazzi delle istituzioni politiche, conquistati i quali si porta a compimento la rivoluzione. Viceversa, chi ha fatto i conti con la natura del potere, con la sua fisica e microfisica, concepisce il potere per quello che veramente è, avendo piena consapevolezza della sua natura policentrica e virale: il potere circola nelle nostre tasche (attraverso la moneta anche “metafisicamente” intesa) e nelle nostre teste (condizionate mediaticamente) — andando all’assalto di un qualsiasi palazzo l’essenza di questo potere ce la si porta appresso, come i recenti fatti di Majdan in Ucraina ben testimoniano. Anzi, proprio Kiev è la riprova di come un assalto armato al Palazzo può fungere da ricostituente del potere. Dal 1945 il Sistema ha sviluppato difese immunitarie sempre più potenti, operato trasmutazioni antropologiche a livello planetario avviando, attraverso il mondialismo, una terribile omologazione difficile da contrastare e disarticolare. In altre parole, l’Alta Finanza che conduce il gioco a livello planetario NON HA PALAZZI assaltando i quali la si neutralizza: essa è ovunque come l’aria. Dunque se una via è possibile questa passa necessariamente attraverso la produzione di “virus” benefici capaci di aggredire e neutralizzare gli anticorpi posti a guardia dell’antagonismo. Una partita, questa, che ha da svolgersi per intero dentro il sistema nel suo complesso e a tutti i livelli. Fatto cenno a questo assunto meritevole di essere meglio specificato e approfondito — cosa che non mancheremo di fare — vale la pena, sopra tutto a seguito delle recenti novità portate dai risultati elettorali, di volgersi con sguardo curioso al fermento italiano per cercare di capire se veramente all’orizzonte si stia profilando una opportunità autenticamente antimondialista. Le ultime elezioni ci dicono: che l’astensione cresce (la gente pensa che sia inutile votare); che i classici partiti di centrodestra sono in fase di disfacimento organico; che il centrosinistra ha raggiunto il picco massimo di consenso grazie alle performance di Renzi (e quindi le speranze suscitate) e che alle prossime tornate precipiterà verso il basso; che anche il M5S ha perso la sua spinta propulsiva. Tutti fatti, questi, che sono meritevoli di una riflessione a parte, capitolo per capitolo. Ma qui è dell’ultimo dato di fatto che vogliamo occuparci, e cioè della Lega di Salvini in crescita percentuale alle elezioni e negli odierni sondaggi. In data di oggi oltre il 22% al nord, circa il 7% al sud. La Lega di Salvini ci interessa in modo particolare perché ha indubbiamente suscitato attese e simpatia in parte di quanti sono concettualmente e politicamente antimondialisti e antiglobalisti, per via della sua conformazione identitaria in lotta per il recupero di sovranità nazionale e di popolo rispetto al progetto del Governo unico mondiale. Tale interesse è suscitato dai principali punti programmatici della nuova Lega: uscita dall’euro e aliquota fiscale unificata (“flat-tax”); lotta all’immigrazione clandestina e al parassitismo rom; no alle moschee/islam; privilegio degli italiani rispetto agli immigrati; costruzione di un progetto politico oltre le ottocentesche ortodossie ideologiche. Precisazione necessaria. Chi scrive conosce bene e da decenni la dimensione politica a tutti i livelli (avendola praticata) a partire da quella militante, ed è scevro da pregiudizi antileghisti; la Lega l’ha vista nascere e ha conosciuto molti dei suoi protagonisti, alcuni dei quali frequenta abitualmente ancora oggi; quindi, pur non facendone parte dispone di tutti gli elementi per una serena valutazione dello stato delle cose che riguardano la Lega. LA LEGA Molti di coloro che a sentir parlare di Lega si fanno prendere dalle convulsioni sono persuasi che la colpa maggiore della Lega non sia tanto quella di aver alimentato il disprezzo per l’Italia Nazione come Stato unitario quanto l’aver fatto dell’antimeridionalismo la ragione fondante del movimento. Ma il senso della cosiddetta impostazione antimeridionalista sfugge ai più, anche grazie alla propaganda di sinistra che ha preferito inchiodare la Lega a prassi razziste. E basta considerare il fatto che fin dall’inizio l’adesione alla Lega da parte di italiani residenti al nord ma di origine meridionale fu alta per capire che il disprezzo per il meridionale in quanto tale coinvolgeva solo una quota marginale di leghisti: era cioè un effetto collaterale. A far crescere l’avversione per il Meridione era in realtà un fattore emblematico, ovverossia la tipologia oggettiva dell’impiegato pubblico impiantato al nord. Dal direttore delle poste al questore, dal capitano della guardia di finanza al maresciallo dei carabinieri, dal prefetto ai vari burocrati all’INPS, dalle maestre elementari al personale dell’Agenzia delle imposte in tutte le sue declinazioni — meridionali spesso di recente trasferimento o, peggio ancora, trasferiti in funzione dell’incarico ricevuto. E se il sistema non funzionava o funzionava male, sia l’imprenditore bergamasco o padovano che i semplici artigiani, bottegai e operai identificavano nel “meridionale” il nemico oggettivo. Interpretazione elementare e superficiale, certo: ma inevitabile per quel che attiene le masse. È soprattutto da qui che parte il sentimento antimeridionale, cioè l’identificazione dello Stato fatiscente, pomposo, malfunzionante, vessatorio e fannullone con il Meridione. Una volta innescata la dinamica del sentimento viscerale si sono via via aggiunte tutte le altre recriminazioni antimeridionali e antinazionali. Ma uno sguardo acuto non può fare a meno di rilevare la natura antisistemica di questa avversione. Saltando la parentesi Gianfranco Miglio, che offrì per breve tempo ben altra e ben più ampia prospettiva alla Lega (colpevolmente affossato da Umberto Bossi, ammaliato dalla sirena Berlusconi) la fase successiva fu quella di spostare su Roma la responsabilità dei problemi che intossicavano il Nord. Ora, con l’era Salvini, la prospettiva è diversa e viene condivisa dalla componente più accorta della Lega. È diversa la prospettiva, e quindi la linea che recepisce il fatto che ad inceppare il sistema sono fattori trasversali da Nord a Sud, tossici tanto per il Sud quanto per il Nord, e che al limite si è stangato il Sud affinché nel baratro fosse trascinato anche il Nord. Fattori continentali (Europa) e globali (Mondialismo). Non essendo questo il tema del presente scritto non entriamo nello specifico riservandocelo per una riflessione futura. Basti tener presente che se Salvini oggi può dare un respiro nazionale al suo progetto è proprio perché il substrato profondo e di pregio della Lega delle origini era di natura più antisistema che centrata sul “razzismo”, e che le esternazioni popolari di parte della militanza erano dovute alla necessità di una definizione del nemico oggettivo. Le masse e gli aggregati militanti hanno bisogno di vedere nella sua concretezza il nemico incarnato e definito. Se così non fosse, se cioè la vera spinta della Lega delle origini fosse stata effettivamente più antimeridionale che antisistemica, Salvini non sarebbe riuscito nella sua operazione di trasmutazione della linea politica del partito, non sarebbe riuscito a ridefinire la fisiognomica del nemico facendo accettare l’operazione alla media della militanza leghista: sarebbe stato contestato almeno quanto viene contestato Renzi dalla componente ortodossa del PD ex PCI. MATTEO SALVINI È molto probabile che quando Roberto Maroni ha spinto avanti Matteo Salvini come segretario della Lega non si aspettava l’exploit che c’è stato, exploit che ha sicuramente messo in crisi il disegno/progetto partorito dopo la “rivolta delle scope” dalla vecchia guardia superstite, dallo stesso Maroni a Zaia, da Calderoli a Tosi. Dunque, il merito dell’affermazione dalla Lega è sicuramente da attribuire, oltre che alla congiuntura dello scenario politico comprensivo di tutte le emergenze sociali, all’indubbio talento mediatico di Salvini, alla sua capacità di giovane comunicatore soprattutto nei confronti dei ceti popolari. Ma, come è ovvio che sia, l’inatteso successo porta con sé alcune tare insidiose di cui il segretario della Lega pare non rendersi conto. Prima di tutto la sovraesposizione mediatica, che alla lunga creerà una crisi di rigetto. Salvini molto probabilmente attribuisce alla sua presenza televisiva il merito del successo elettorale e di sondaggio, e quindi la incrementa senza soluzione di continuità accettando inviti su inviti. Non è difficile immaginare che così facendo trascuri il governo del suo partito che rischia lo sbando per le inevitabili fibrillazioni interne degli scontenti e dei soliti “tramoni” presenti in tutte le compagini: invidiosi, rancorosi, carrieristi, egocentrici, narcisisti, furbastri, affaristi… Scontenti gli uomini che avevano ipotizzato per sé un diverso posizionamento, scontenti i militanti più “tradizionalisti” ancorati alla vecchia visione secessionista e antimeridionale. Il rischio che corre è dunque quello di ritrovarsi con una struttura liquefatta, orizzontale, preda di un’anarchia molto simile a quella del MS5. Un movimento senza una buona struttura articolata ed organica è come un corpo senza scheletro; più cresce e più ha problemi di stabilità ed equilibrio. Ci sono poi tutta un’altra serie di effetti secondari altrettanto nocivi che però non mette conto di elencare qui per non appesantire questo scritto. Vale invece la pena di soffermarsi su un altro aspetto della posizione del segretario della Lega, aspetto che ci riporta alla questione centrale di questo intervento e che tenta di misurare l’effettiva capacità della Lega di Salvini di essere antisistema e quindi antimondialista. Da quello che appare e da quello e si sa Matteo Salvini non dispone di un gruppo umano, ancorché ristretto, con funzioni di consiglio critico oltreché propositivo: consiglio che dovrebbe essere composto da persone capaci di sottoporgli schiettamente le varie prospettive di ogni singolo tema/problema; persone insomma capaci di fare la parte dell’avvocato del diavolo evitandogli così quelle trappole che sicuramente, a tempo debito, troverà disseminate sul suo percorso. Trappole non messe in funzione ora perché il tempo consentirebbe di porre rimedio: ma fatalmente pronte a scattare quando gli appuntamenti che contano, per esempio una tornata elettorale, saranno incombenti. E sarà allora che l’idealista Salvini dovrà necessariamente fare del suo inferno il suo paradiso. Non è difficile immaginare oggi Salvini circondato da adulatori in cerca di vantaggi che gli magnificano la sua bravura, così come non è difficile immaginare che c’è chi già tesse trame con il Cavaliere di Arcore per ridurlo a più miti consigli; tanto per dirne una, Bossi si è già pronunciato sostenendo che il leader del centrodestra resta Berlusconi, mentre Tosi lo sfida alle primarie. E per questo pericolo niente di peggio che avere attorno persone che danno ragione e gli dicano quanto è bravo e bello, sempre e comunque. A prescindere, come avrebbe detto Totò. E poi ci sono le fascinazioni verso i demagoghi folgorati sulla via di Damasco ma che, come Saulo di Tarso che ha sulla coscienza il primo martire cristiano (fu San Paolo ad uccidere Santo Stefano….), allo stesso modo si portano sulla coscienza la corresponsabilità della soppressione della sovranità nazionale. Nell’entourage di Salvini un posto di rilevo lo ha Claudio Borghi (responsabile economico della Lega Nord), un tempo convinto europeista (con annessi e connessi all’Euro) e ora pronto a convertirsi per tempo ad una causa di sicuro appeal: quella della Lega “no-euro”. In lui e nelle sue teorie, Matteo Salvini ha riposto cieca e incondizionata fiducia. Ora, a parte altre considerazioni che qui tralasciamo, soffermiamoci su quello che è il “modello Borghi” e che Matteo Salvini trasforma in parola d’ordine “No euro”. Perché questo sarà proprio uno dei punti deboli su cui a tempo debito verrà aperto il fuoco di fila. E allora quello slogan magico, componente pregiato dell’attuale teoria politica di Salvini nel contesto della propaganda politica, quando scenderanno in campo monetaristi ed economisti mediatici di rango si trasformerà in boomerang. IL MODELLO BORGHI L’idea fondamentale di Borghi è una uscita tout-court dall’Euro, con ripristino di una valuta domestica svalutata del 30-40% in modo da dare subito incentivo alle esportazioni, il tutto accompagnato dalla sostituzione dell’attuale regime fiscale progressivo con una flat-tax (aliquota fissa per tutti del 20% o giù di lì). Sull’uscita tout-court dall’Euro: Ripristinare una valuta domestica vorrebbe dire anzitutto recuperare la proprietà e la disponibilità di un Istituto che operi da Banca Centrale, dato che Bankitalia è saldamente in mani private ed il decreto IMU-Bankitalia di fine 2013 ha irrevocabilmente sancito che Banca d’Italia è di proprietà delle banche che a loro volta appartengono a privati e fondazioni. Basterebbe questo per smontare l’impalcatura di Borghi. Inoltre, una nuova valuta domestica dovrebbe essere oggetto di accordi bilaterali con le banche centrali (BCE, FED, BoE etc.) con le quali concordare una banda di oscillazione del cambio tipo SME negli anni ’90, che va sostenuta dalla nuova banca centrale tramite una forte dotazione di RISERVE VALUTARIE… riserve che l’Italia non ha più o meglio quelle che ha sono adeguate agli scenari di fine anni ’90 mentre nel frattempo le altre banche centrali hanno inondato i mercati di liquidità e dispongono di mezzi enormi. E’ come giocare a poker con 3 multi-miliardari, presentandosi al tavolo con 100 euro… Va ricordato che il sistema aziendale italiano ci ha messo almeno 5-7 anni a prepararsi all’Euro, e non può certamente riconvertirsi ad una valuta domestica in un batter d’occhio. Oggi, gli si chiederebbe di farlo nel momento di massima debolezza Problema di debito pubblico: Borghi propone che la nuova moneta sia svalutata del 30-40% per dare impulso alle esportazioni. Quando viene criticato per il fatto che questo creerebbe inflazione e quindi eroderebbe i salari lui risponde spiegando che così non è, e questo è in effetti l’unica considerazione tecnicamente giusta che fa. Però Borghi omette (consapevolmente) di affrontare il vero problema della sua proposta, che diventa drammatico in un sistema economico con moneta a debito come quello italiano, e cioè che avendo un debito pubblico denominato in Euro, o riesci a convertire il debito nelle nuove lire, cosa ridicola, oppure nell’era nuova-lira il debito pubblico calcolato in Lire schizzerà in alto della stessa misura della svalutazione. Questo sprofonderebbe il Paese nella totale impossibilità di interagire con i mercati finanziari. Sulla Flat Tax: Il modello di “flat tax” proposto da Borghi affonda le proprie radici nei peggiori regimi ultra-liberisti della storia, dal Cile di Pinochet ai governi thatcheriani, che quantomeno avevano il controllo della moneta e potevano governare l’espansione del sistema economica. Oltre a non risolvere il problema dell’efficienza del sistema di prelievo crea forti diseguaglianze nel trattamento della ricchezza. In più, considerando l’attuale moria della domanda interna, riduce più che proporzionalmente il reddito disponibile per la spesa per consumi delle fasce meno abbienti. Infine si può citare la non costituzionalità della flat tax rispetto all’art 53 della costituzione che prevede esplicitamente il principio di progressività delle aliquote. Politica economica: Borghi non presenta alcun quadro di sviluppo industriale credibile, non spiega se lo Stato nella nuova configurazione di valuta domestica intende riappropriarsi di settori strategici, investire fortemente nel made-in-Italy, costruire insomma una politica economica che rappresenta lo scopo ultimo di qualsiasi tentativo di riappropriarsi della sovranità monetaria. Conclusioni: Borghi omette totalmente di affrontare il problema della moneta a debito che estrae dal sistema liquidità a solo beneficio del sistema bancario Non dice chi sarebbe il proprietario della nuova banca centrale, e viene il sospetto che abbia in mente di “restituire” la sovranità monetaria non alla popolazione o allo Stato, bensì al club di banchieri italiani… Non spiega quale sarebbe e come si farebbe la nuova politica monetaria, pur sapendo che manca la banca centrale, mancano le riserve valutarie e mancano gli uomini e la cultura Si è speso molto sul problema dell’aliquota fiscale fissa senza toccare il tema dell’economia sommersa, dell’evasione fiscale e della necessità di un sistema che stimoli la domanda domestica anziché deprimerla (come fa la flat-tax) Dunque, se Matteo Salvini intende condurre una battaglia seria e credibile contro l’Euro ci sono ben altre competenze ed “intelligenze” che dovrebbe e potrebbe consultare. Alcune delle quali, ad esempio, da anni hanno inquadrato la problematica Euro in maniera sistematica, evitando boutade elettorali e basandosi sulla conoscenza approfondita dei mercati finanziari e dei vincoli che oggi ingessano la nostra economia. Tra questi c’è il centro di ricerche IASSEM (Istituto di Alti Studi sulla Sovranità Economica e Monetaria) che vanta, tra le altre cose, un’attività di consulenza tecnica dal 2011 per la Corte dei Conti in tema di lotta alla speculazione finanziaria. Lo stesso IASSEM si sta occupando di coordinare gli sforzi a livello nazionale per omologare i diversi sistemi di monete complementari già esistenti e che fino ad oggi hanno operato a livello regionale o comunque senza raggiungere la necessaria massa critica per incidere sull’economia. Tra questi vanno citati Arcipelago Scec e la piattaforma BTB Sardex. Tanto per citare due numeri, ad oggi lo Scec viene distribuito ad oltre 10.000 individui a livello nazionale che possono impiegarlo come buono sconto all’interno di un circuito di circa 4000 negozi. Il Sardex è invece distribuito alle aziende che lo impiegano tra di esse come una forma di pagamento tramite cessione del credito. In ambo i casi, l’Euro inizia a perdere la propria esclusività come strumento di pagamento, ma la cosa avviene in modo graduale, evitando traumi alle fasce deboli della popolazione, e consentendo al sistema di ossigenarsi tramite strumenti di pagamento liberi dal debito… L’integrazione ed il potenziamento di queste piattaforme è in atto a livello nazionale e con il supporto di forze politiche, che finora è mancato, potrebbe diventare una soluzione concreta che salva le aziende dai fallimenti, crea occupazione e rilancia il PIL, mentre tutti gli altri continuano a fantasticare azioni eclatanti di uscita dall’Euro che sono totalmente irrealizzabili. Non è un caso che una vecchia volpe come Silvio Berlusconi abbia di recente ripreso, oltre l’idea (infelice) della flat-tax, anche quella della doppia moneta che può però funzionare solo con il meccanismo sopra indicato perché non esiste certamente una istituzione giuridica e istituzionale in grado di battere moneta complementare a quella dell’Euro. Con ogni probabilità ci sarà qualche consigliere accorto che indirizzerà l’ex Cavaliere verso il progetto Scec dandogli la possibilità di cavalcarlo e trasformarlo in cavallo propagandistico sottraendolo così a chi, per impostazione complessiva, avrebbe maggior ragione di farlo proprio: la Lega di Salvini, appunto. Le battaglie sono vinte prima che lame incrocino, dice Sun-Tzu, e questa battaglia contro l’Euro, così come impostata sul modello Borghi, è persa in partenza. Allo stesso modo è persa la battaglia sulle moschee. “No moschee” è una battaglia che non può essere vinta. Quella del confronto con le comunità islamiche in Italia (ma anche con le altre comunità) è un confronto inesistente e, in quanto battaglia, battaglia mal gestita. Le sinistre hanno in testa un progetto assimilatorio e quindi propendono per una diffusione capillare di moschee in modo da condizionare i quartieri metropolitani. L’idea della sinistra è basata sull’ignoranza della questione islamica e sulla presunzione di poter ricondurre tutta l’operazione ad una dimensione laica. La Lega da parte sua confonde il piano dell’immigrazione, il fondamentalismo islamico e la questione confessionale, e a parte il rifiuto aprioristico non ha alcun esperto che conosca dal di dentro tutta la questione, che è abbandonata al peggior fallacismo di ritorno e alle scorribande ideologico-confessionali di Magdi Cristiano Allam che qua e là filtrano dentro la Lega. Di recente la propaganda politicamente corretta ha aggredito il concetto di integrazione portando gli esempi di un fallimento europeo. In realtà si è trattato di una perfetta manipolazione concettuale, perché i fallimenti in realtà sono tutti basati su elaborazioni che fanno dell’assimilazione il punto cardine. L’integrazione è altra cosa, ed è ad un modello integrativo che un movimento che fa dell’identità il proprio punto cardine deve guardare. Un serio progetto/modello centrato sull’integrazione che abbia come obiettivo proprio quello di evitare l’assimilazione non è mai stato messo in campo. La confusione riguardante la questione islam-immigrazione va di pari passo con la confusione che si genera attorno alla questione geopolitica mediterranea e quindi alla questione Medio Oriente, dove invece si possono aprire praterie interessanti almeno quanto quelle che i leghisti hanno scoperto a Est con la Russia: dove invece il lavoro e la comprensione, grazie all’Associazione Lombardia Russia, sono stati e sono encomiabili — risultato dovuto ad una sedimentazione antica di almeno 20-25 anni grazie agli studi approfonditi del suo Presidente italiano Gianluca Savoini (nella foto mentre stringe la mano a Vladimir Putin). Per la serie i buoni risultati e i successi duraturi non sono frutto dell’improvvisazione e del dilettantismo. CONCLUSIONE La Lega ha notevoli potenzialità, è centrata su alcune felici intuizioni e parole d’ordine: questione immigrazione; aspetto geopolitico in relazione alla Russia e all’Europa dei banchieri; la consapevolezza che restando centrati sull’Euro così come lo siamo ora l’Italia sarà preda del precipizio; la consapevolezza che è impossibile salvare il Nord senza salvare il Sud; che la via maestra per ripristinare il diritto passa prima di tutto attraverso il privilegio di essere italiani; la ricchezza della Nazione individuata anche nelle specificità regionali che vanno salvaguardate ecc. Resta il fatto che tutte queste belle intuizioni poggiano su elaborati un po’ naïf che se non portati su un piano di alta qualità saranno piombo fuso di ritorno, devastante per la Lega e per Salvini. La Lega non ha dalla sua né intellettuali organici di sostegno né intellettuali di rango, che invece abbondano a sinistra. Ma non sarebbe un grosso problema se avesse dalla sua qualcuno capace di individuare chi ha buona stoffa e non è ancora emerso all’onore della notorietà. Ci sono tante teste pensati e buoni intellettuali che guardano con simpatia e speranza alla Lega. Menti che potrebbero consentire una notevole evoluzione, così come è successo spesso nella storia d’Italia quando le avanguardie che l’Italia l’hanno forgiata erano composte da giovanissime audaci teste pensanti. Ci furono nelle avanguardie letterarie, artistiche, politiche (Risorgimento e Interventismo). Si potrebbero snocciolare qui centinaia di nomi. Trovi la Lega un valido responsabile culturale a cui dare l’incarico di cercare i buoni cervelli che ci sono e risolverà non pochi problemi mediatici, interfacciandosi anche con quegli strati intellettualizzati che ora considerano la Lega come un contenitore per trinariciuti incolti. Se un tempo Gianfranco Miglio ha potuto guardare alla Lega con interesse, significa che nella Lega ci sono i germi per una sana azione politica antimondialista. E quindi o la Lega di Salvini compie per intero e dall’interno la rivoluzione che con gli slogan propagandistici ha annunciato di voler compiere, oppure anche lei, come già altri movimenti, si disintegrerà. Ha avuto, dopo l’era crepuscolare di Bossi-Belsito-Trota, una seconda opportunità. Non se la lasci sfuggire, perché una terza non l’avrà di certo. 

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