Già dalla battute iniziali delle lezioni dedicate a tàpolitikà che, etimologicamente, sono ‘gli affari che riguardano la città’ (polis), Aristotele ricorda agli ascoltatori che la città è una forma di comunità costituita in vista di un bene; e – aggiunge immediatamente - essa è l’unica che permetta agli uomini di realizzare le proprie potenzialità più tipicamente umane e, pertanto, di essere felici. È per questo che egli può notoriamente affermare che ‘l’uomo è per natura un essere politico’, con la conseguenza che chi non vive nella comunità politica, per natura e non per caso, è evidentemente o inferiore o superiore all’uomo, è un dio o una bestia feroce (Politica I 2, 1253a). La ‘politica’ aristotelica presenta pertanto due vistose differenze con la maniera in cui noi oggi concepiamo questo termine: essa è caratterizzata da un’organizzazione orizzontale del potere dove tutti i cittadini, idealmente, governano e sono governati a turno ed è strettamente connessa con la felicità umana, di cui crea le pre-condizioni materiali; essa rimanda, poi, a una forma assai specifica di comunità – la polis appunto: ad Aristotele non sfugge che esistono anche altre forme di comunità e di associazione umane, come il dispotismo orientale, ma nega che in esse si dia ‘politica’. (Clicca sulla foto per visualizzare il documento in PDF).
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