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Unità d'Italia a mano armata...

>> domenica 17 marzo 2013


briganti
Da 150 anni ci raccontano la barzelletta del Sud liberato dai Savoia per portarvi libertà, giustizia e progresso. Errore: la crisi del sud è cominciata proprio con l’Unità d’Italia, imposta col sangue e governata con l’aiuto della mafia, dopo una brutale guerra di conquista: stragi e deportazioni, da cui la tragedia dell’emigrazione, prima sconosciuta. Impressionante la rapina delle risorse: il sud era più avanzato nel nord anche sul piano industriale. E più ricco: il regno borbonico era il più solvibile d’Europa, mentre quello piemontese il più indebitato. Anche per mettere le mani sul bottino, i Savoia si convinsero a unire l’Italia.
E’ la tesi del libro “Terroni”, di Pino Aprile, che descrive con puntigliosa documentazione una realtà sconvolgente: quella di un paese occupato, 
,spogliato delle sue attività produttive, con centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile. Un paese “senza più padri”, costretti per sopravvivere a ricorrere – a milioni – all’emigrazione, per la prima volta nella loro storia. Tutto questo, dopo l’arrivo dei Savoia, che per prima cosa «ne depredarono le ricchezze, a partire dalla cassa del Regno delle Due Sicilie».



Pino Aprile non ha dubbi sulla necessità dell’Unità d’Italia: «Ci sentiamo tutti italiani, anche orgogliosi delle nostre stupende, meravigliose differenze che ci arricchiscono». Non si discute sul fatto che ci sia l’Italia, ma – al contrario – che non sia abbastanza unita: perché l’Unità reale «non è mai stata fatta», visto che la Penisola è stata unificata «tenendo il sud sotto schiaffo».
Terroni”, si legge nella presentazione sul blog di Beppe Grillo, racconta le distruzioni di interi paesi, le deportazioni, la nascita delle mafie alleate con i nuovi padroni: furono proprio i piemontesi a dare un ruolo politico alla malavita organizzata, che sotto i Borboni restava ai margini della vita sociale. Per conquistare il sud, strappandolo a una dinastia non italiana, «sono state usate le armi, la politica, l’economia».
Risultato: si è creato un dislivello tra le due parti del paese che «non esisteva al momento dell’Unità». Non solo. L’economia monetaria del meridione era più florida: i due terzi del denaro circolante in Italia erano del mezzogiorno. «Il Piemonte ha unificato la cassa, portando al nord l’oro del sud». Verità sostenute «da fior di studiosi» nel corso di un secolo e mezzo, eppure «mai 
Vittorio Emanuele II
prese in considerazione», in ossequio all’ideologia dei conquistatori torinesi.

Di recente, il Cnr ha ricostruito l’economia delle varie regioni italiane dal 1861 ad oggi: risulta «in maniera incontenstabile» che al momento dell’Unità non c’era differenza tra nord e sud. La differenza è emersa in seguito: non malgrado l’Unità, ma pr oprio a causa dell’unificazione forzata. «Questa differenza – sottolinea Pino Aprile – è stata imposta con le armi, con stragi». Il conto ufficiale oscilla tra le migliaia di vittime e i 200.000 caduti, mentre “Civiltà Cattolica” parlava all’epoca di un milione di morti: il bilancio di un genocidio.
Qualunque sia l’entità della strage, secondo Pino Aprile l’Unità d’Italia «fu fatta nel modo peggiore, con il sangue e con i soldi dei meridionali». Se i “terroni” combatterono per anni, con una resistenza popolare liquidata poi come “brigantaggio”, i nteri reparti dell’esercito borbonico si dettero alla macchia per contrastare quello che a tutti gli effetti era un invasore, che faceva una guerra non dichiarata, testimoniando una evidente «volontà di resistenza». Persino un grande intellettuale del sud come Giustino 
esercito piemontese
Fortunato, favorevole all’unità nazionale, ammise: «Stavamo molto meglio con i Borboni».

Verità scomoda: il sud aveva una sua cultura industriale, per alcuni aspetti superiore a quella del nord. Metallurgia, siderurgia, grandi poli tessili. Un’industria che al nord, ai tempi dell’Unità d’Italia ancora non c’era. L’esempio classico che si utilizza per negare la realtà è quello delle infrastrutture per i trasporti: poche strade e pochissimi chilometri di ferrovia come “prova” della presunta arretratezza del sud, dimenticando che la monarchia borbonica preferì sfruttare le coste e i trasporti marittimi, «tant’è che in pochi lustri la flotta commerciale del Regno delle due Sicilie divenne la seconda d’Europa – quella militare la terza».
Puntare sulla navigazione: «Un po’ quello che sta facendo adesso l’Unione Europea con il progetto delle autostrade del mare», aggiunge Pino Aprile. «Quanto alla siderurgia, il più grande stabilimento italiano era in Calabria: da solo, aveva dipendenti e tecnici quasi quanto la gran parte degli stabilimenti siderurgici del nord». La più grande officina meccanica d’Italia e forse d’Europa era nel napoletano, a Pietrarsa, e divenne un modello 
emigrazione sud
copiato dagli stranieri: «Le mitiche officine di Kronstadt e Kaliningrad non sono altro che la copia, mattone per mattone, delle officine di Pietrarsa».

E così la cantieristica navale: i maggiori cantieri erano al sud. «Quando arrivarono i nuovi “padroni”, in realtà i locali furono messi in condizioni di minorità: tutte queste aziende furono declassate o addirittura chiuse, gli stabilimenti siderurgici di Mongiana che avevano 1.500 dipendenti si fecero consegnare la chiave, chiusero e vendettero come ferro vecchio. Ufficialmente la spiegazione fu che non era più tempo di stabilimenti siderurgici in montagna e lontano dal mare. Chiusa Mongiana, cominciarono a costruire Terni: ancora più in alto e ancora più lontano dal mare».
Altra beffa post-unitaria, la Cassa del Mezzogiorno: pur accusata di inefficienza e dispersione dei finanziamenti, impiegava lo 0,5% del Pil per strade, scuole, fognature, opere spacciate per “interventi straordinari”, che nel suo libro Pino Aprile enumera, chilometro per chilometro. «Dov’è la cosa straordinaria del fare le strade, le fogne, le scuole?». Perché
Pino Aprile
considerare “straordinario” costruire un Paese con fondi pubblici? «Al nord con quali soldi hanno fatto le strade, le scuole, le fogne?».

E perché considerare «un’immensa rapina» lo 0,5 del Pil, tacendo invece sul restante 99,5%? «Perché non si spiega come mai il nord ha dal 30 al 60% in più di infrastrutture, senza neanche avere avuto una Cassa per il Settentrione? Perché non si spiega come mai un chilometro di ferrovia in piano dell’alta velocità tra Torino e Milano, tra le risaie e quindi senza montagne da bucare, costa 52 milioni di euro? Più di 100 miliardi di lire, quando per tratti molto più complicati sulla Roma-Napoli si sono spesi 25 milioni di euro, con tanto di gallerie, mentre in Francia si spendono 10 milioni di euro e in Spagna 9. Chi spiega la differenza?».
Un esempio illuminante: l’Expo si Milano si finanzia con i fondi Fas, quelli per le aree sottosviluppate: «L’Expo di Milano, il Parmigiano, le compagnie di navigazione del Lago Maggiore e del Lago di Garda: significa che il sud è il Bancomat d’Italia, è il derubato che continua a essere chiamato ladro», protestaPino Aprile. «Questi conti vanno fatti: da un’analisi dell’Italia unita, condotta da un ricercatore di psico-sociologia, viene fuori la descrizione di 
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questo stato di minorità che segna un paese duale, diviso in due. Questa divisione è il motore dell’economia del nord, che crede di guadagnarci».

«In effetti – aggiunge Aprile – il nord qualcosa ci guadagna, rimproverando poi le pensioni di invalidità con cui si comprano i voti al sud, ma è una sciocchezza: perché se il paese si unisse davvero, sia il nord che il sud guadagnerebbero molto di più. Potremmo diventare il primo paese del mondo. Ma se l’alternativa è continuare ad avere una parte del paese succube dell’altra, allora il desiderio di essere soli piuttosto che male accompagnati, comincia a giustificarsi. E’ un desiderio che al sud serpeggia, ribolle: sta proliferando, anche se il nord fa finta di non sentirlo».
(L’intervista è on-line sul blog www.beppegrillo.it. Il libro: Pino Aprile, “Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali”, edizioni Piemme, 308 pagine, euro 17.50).

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