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Il primo numero de "Il Riflesso"
>> venerdì 11 settembre 2015
Cliccando sull'immagine potrai accedere al primo numero de "Il Riflesso", periodico di approfondimento culturale a cura di Gennaro Cangiano. Puoi partecipare al progetto inviando articoli a cangianogennaro@gmail.com.
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Una libertà finta
>> lunedì 12 gennaio 2015
La manifestazione di Parigi in risposta agli attentati e ai morti che ne sono conseguiti mi ha molto colpito... Ma non per i motivi che la retorica dei mass media tende a ripetere ossessivamente. Sia chiaro che non trovo assolutamente nulla che possa giustificare gli attentati, che sono senza dubbio frutti malati di menti malate, ma non sopporto nemmeno l'ipocrisia. Gli eventi e la loro rappresentazione ci spingono nel dover per forza accettare il tipo di satira di Charlie Hebdo, ritenendola addirittura emblema di libertà... Ma di quale libertà? Quella di sbeffeggiare la religione? Certo non tutte le religioni, visto che la redazione di quello stesso giornale non ha esitato a espellere un redattore che si esprimeva criticamente contro l'ebraismo, mentre si gloriava di rappresentare in maniera irriguardosa e blasfema L'islam e il cristianesimo. Sono addolorato per le vittime, ma non sono Charlie e non sono nemmeno francese, come invece lo erano gli attentatori. Cosa pensava quella stessa folla parigina quando l'aviazione del loro paese unilateralmente bombardava Tripoli e Bengasi consegnando la Libia proprio a quei gruppi estremisti di cui oggi si scopre vittima? O quando il suo governo finanziava proprio l'ISIS in chiave anti Assad in Siria?...non sopporto l'ipocrisia, nè la memoria corta e quindi non sono francese... Purtroppo invece sono italiano; cittadino di uno stato finto e reale tappetino politico dell'occidente... Puro esecutore di ordini che non è tenuto nemmeno a comprendere. Tra poco ci coinvolgeranno in una nuova guerra; si attendono solo le disposizioni del padrone americano e poi si darà il via alle danze, aumentando i rischi di ritorsione e attentati in maniera esponenziale... Esattamente il contrario di quello che ci racconta la retorica ipocrita di regime. Altro che "siamo tutti Charlie"... Siamo tutti come dei buffoni di corte, liberi solo di insultare gratuitamente, ma non di decidere della nostra vita, vhe rimane saldamente nelle mani del burattinaio di turno.
Un po' di franchezza forse l'ha dimostrata solo il premier israeliano che, intervenuto dopo la manifestazione a un incontro presso la sinagoga di Parigi, ha detto chiaramente a quelli che lo ascoltavano che Israele era la loro patria... Noncurante del fatto che quegli stessi interlocutori fossero tutti cittadini francesi... e nessun francese ha avuto niente da ridire, nessun politico francese ha obiettato nulla a quel capo di stato straniero che diceva chiaramente a dei francesi che la loro patria era un'altra, indicata dal loro essere ebrei... e che Charlie andasse pure alla malora senza di loro; senza riflettere sul fatto che lo stesso ragionamento lo facevano i ragazzi autori degli attentati, non ritenendo cioè altri cittadini francesi loro compatrioti perchè non condividevano la stessa causa islamica.
Gennaro Cangiano
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Tutta n'ata storia
>> lunedì 5 gennaio 2015
Oggi è successa una cosa strana, che mai mi sarei aspettato potesse accadere. Questa mattina, come l'intero mondo, ho appreso la notizia della morte di Pino Daniele... La sorpresa, la tristezza, i ricordi hanno immediatamente ingolfato la mia mente e il mio cuore, stringendomi un nodo in gola che ancora stenta a sciogliersi. Quando nel 1977/78 si cominciava a sentir parlare dei Napoli Centrale e di Pino Daniele, quando le radio libere napoletane cominciavano a passare canzoni come "Che calore" o "na tazzulell'e cafè", io avevo 8 anni... faccio parte cioè di quella generazione di napoletani che è cresciuta ritenendo normale il cosiddetto "sound blues partenopeo", ma che invece era un'assoluta novità. Con queste melodie si compiva la completa assimilazione e metabolizzazione da parte della musica napoletana delle influenze anglosassoni cominciate con l'occupazione americana postbellica e la coniugazione ha dato vita a un genere unico, evidenziando ancora una volta come la cultura napoletana sia la vera e forse unica sintesi possibile delle culture mondiali. Oggi però mi sono reso conto di qualcosa che non mi era evidente... La morte di Pino Daniele ha coinvolto in una commozione generalizzata non solo me è mia moglie, il chè poteva benissimo essere scontato, ma anche i miei figli, dimostrando l'incredibile valore culturale che questo artista rappresenta; in maniera trasversale alle generazioni... Pochi musicisti possono dirsi caratterizzati da una simile potenza emotiva. Ho sentito dire che oggi Napoli si sente svuotata; non sono daccordo... È ancora Napoli, come sempre, che riempie il mondo.
Gennaro Cangiano
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Il capodanno del filosofo
>> mercoledì 31 dicembre 2014
Arriva sempre quel momento, ogni Capodanno. Il momento in cui si riflette e tutti sono pronti ad esclamare: «Certo che quest’anno è proprio volato. Come passa veloce il tempo!». Per il panettiere è passato con la stessa velocità della lievitazione di una pagnotta, per l’estetista giusto l’urlo di una cliente che le ha chiesto la ceretta all’inguine, per l’impiegato di banca il tempo necessario di premere per l’ennesima volta il tasto on/off della calcolatrice.
E per il filosofo? Il filosofo “pensa e basta”: per lui con che velocità è passato?
Il tempo è passato come…? Con la stessa velocità di…?
Il filosofo proprio non se la sente di dire la sua come fanno tutti gli altri. Prima vuole rifletterci approfonditamente così, quando anche quest’anno arriverà il momento di pronunciare la fatidica frase, lui sarà pronto per lasciare tutti senza parole. Quindi il 31 dicembre si sveglierà prestissimo e salterà in macchina dirigendosi verso la casa di montagna, dove si svolgerà la classica festa all’insegna di tintinnii di calici e buoni propositi. Il viaggio per arrivare dura tutto il giorno, quindi il filosofo avrà modo per capire quale sia l’immagine che più degnamente esprime quanto passi veloce il tempo per lui. Di certo «deve essere qualcosa di difficile, che in pochi possono capire» perché all’università, questa frase, la dicevano sempre, e quindi se la dicevano lì doveva essere sicuramente vera. Forse il tempo passa con la stessa velocità con cui la coscienza diventa autocoscienza nel pensiero di Hegel: giusto il tempo di uno scambio di sguardi tra Servo e Padrone. «Il tempo è ciclico o lineare? Non l’ho ancora capito. Forse entrambi. Forse nessuno dei due. Ma chi sono io, semplice mortale, per rispondere?» elucubra il filosofo, mano sul volante, piede sull’acceleratore, testa tra le nuvole. «Il tempo è un punto, una linea spezzata, chiusa, aperta, dritta, una retta, una semiretta, un segmento, un poliedro…», continua il filosofo tra una curva e l’altra. «Sarà un’idea, un’astrazione, un sinolo? Interiore o esteriore? Indotto, dedotto oppure intuito? Il tempo, a sua volta, “ha tempo”? Quando comincia e quando finisce? E se non fosse possibile esprimere un “quando”, perché il tempo è solo un’illusione? Eppure io “quando” lo dico, ma magari sto sognando… Allora vedi che Cartesio aveva ragione, come ho pensato la prima volta che ho letto Il discorso sul metodo. Oppure, al contrario, ci sono più tempi: il tempo della scienza e quello della coscienza, come diceva Bergson. Ma questo di certo non sintetizza bene come il tempo scorra per il filosofo! Aspetta: tutto scorre. E allora? Io scorro? E scorro come il tempo o più lentamente? Il linguaggio blocca il tempo o lo culla nel suo defluire?».
Insomma, curva, accelera, pensa, frena, rifletti, fermati al semaforo, fai attenzione al ghiaccio sui bordi della strada, il filosofo è arrivato a destinazione. Ha pensato al tempo per tutto il viaggio: mentre parcheggiava, rischiando di investire la figlia della vicina che stava facendo un pupazzo di neve, sotto la doccia calda che ha fatto durare di più “per prendere tempo”, mentre sua moglie gli metteva la cravatta, perché lui non ha ancora imparato. Quando ha suonato il primo ospite, e anche l’ultimo.
Ora sono le 23:58, manca pochissimo al nuovo anno. Il panettiere ha già detto che quest’anno è stato veloce come la cottura degli avanzi di pasta, l’estetista come sfoltire le sopracciglia di una modella, l’impiegato di banca come fare un sorriso quando al mattino si sistema nella sua postazione. Ecco fatto, sono le 24:00 in punto e l’unico a essere rimasto senza parole è il filosofo. Spaesato, smarrito, evaso dalla realtà, ancora lì a chiedersi che cosa sia il tempo. Poi, a un certo punto, il trillo di un cellulare. «Buon #2015 a tutti! #champagne #festa #buonipropositi»: il tempo nel 2014 era passato veloce come un tweet. Per tutti, nessuno escluso.
La morale? Non cercare mai di cambiare il mondo, senza prima averlo osservato bene e vissuto.
Io non sarei mai e poi mai quel filosofo, ma in fondo sono solo un apprendista.
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Fiera dell'artigianato a Milano
>> martedì 9 dicembre 2014
Ieri sono andato, in compagnia della mia famiglia, a visitare la fiera dell'artigianato alla fiera di Milano. Inutile dire che il mare di gente presente era impressionante, anche grazie al fatto che fosse un giorno festivo e per di più ultimo giorno espositivo. Su questa esperienza ci sono alcune considerazioni che penso debbano essere condivise.
Gran parte dello spazio espositivo era dedicato alle varie realtà regionali italiane, ma anche il resto del mondo era ben rappresentato. La visita si è dispiegata tra innumerevoli stand che offrivano merce di tutti i tipi, tutti strettamente caratterizzati geograficamente. Man mano che ci si addentrava, come gocce nel fiume dei visitatori, l'attenzione era più o meno attirata dalle esposizioni tra le più eterogenee, ma tutte organizzate più o meno nello stesso modo... fino ad una musica in lontananza che riusciva a soprastare anche al rumorio e vocio della gente numerosissima. Ci avviciniamo attratti dalla musica che risultava indiscutibilmente familiare; canzoni napoletane che sole si elevavano nella routinaria e monotona esposizione degli stand che via via attraversavamo... fino a raggiungerla. Un'intero angolo del capannone 1 della fiera era occupato dalla Campania e una "pizzeria" aveva avuto la felice idea di includere la musica nella propria offerta espositiva. Il clima era categoricamente diverso dal resto della fiera; pizzaioli e camerieri vestiti da pulcinella coinvolgevano ballando o cantando ogni visitatore che avevano a portata di sguardo e questi si lasciavano coinvolgere senza pudore, determinando un clima che in nessun'altra parte della fiera si respirava. Inutile dire che abbiamo scelto di mangiare la pizza lì, familiarizzando con il personale addetto come se si fosse in famiglia. "di dove sei?" - ci chiedevamo a vicenda - "sono di Fuorigrotta" rispondeva Pulcinella che nel frattempo aveva deciso di sedere al nostro tavolo e consumare insieme a noi la sua pausa. E poi sfogliate, mozzarella, pastiera, caffè... tutto sempre condito dalla musica e dal canto di addetti e visitatori che entravano in un vero e proprio stato alternativo di esistenza quando entravano in contatto con la freschezza e la gioia che i napoletani offrivano loro come fosse un prodotto tipico, però gratuito. Nessun altro spazio della fiera è riuscito ad essere così vero. La musica ad esempio c'era anche presso lo stand dell'Emilia Romagna, ma consisteva in un balletto organizzato, tipo ballo di gruppo, su una base musicale inglese e a cui il visitatore doveva solo assistere... una banalità dove nessuno veramente si fermava interessato. Siamo tornati a casa come se fossimo stati realmente per qualche ora a Napoli e la stessa sensazione ci è stata comunicata da molti amici che in momenti diversi hanno visitato la fiera. Milanesi o stranieri che fossero, tutti ricordano particolarmente quello strano "stato dell'essere".
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Elogio della follia
>> martedì 2 dicembre 2014
Il libro che intendo presentarvi oggi è a dir poco originale. Si tratta di "Il mio labirinto" di Stefania Cicerchia e il sottotitolo dà il senso dell'opera: "viaggio attraverso le visioni di un folle".
Il testo rappresenta la riscoperta di un filone letterario che non vedevamo da tempo e cioè la rappresentazione della realtà attraverso gli occhi della pazzia e, leggendo pagina dopo pagina il libro, questa si rivela sempre più come veridicità dell'essere, sotto una superficie di normalità in cui è stata rinchiusa e che è sostanzialmente falsa.
Il tema della follia percorre da sempre il pensiero dell'uomo, le parole dei filosofi, i versi dei poeti. Follia è deviazione dalla norma, allontanamento (in)volontario dal tradizionale percorso di ricerca dell'equilibrio. Perché non sempre in medio stat virtus. Follia è visione unica, originale, sul mondo, su se stessi, sugli altri.
È liberta dalle convenzioni e dalle regole imposte, dal conformismo e dal moralismo, dai dettami della logica e della ragione. È libera espressione di sé.
La vita umana non è altro che un gioco della Follia scriveva Erasmo da Rotterdam nel suo L’elogio della follia, esaltando la Follia come portatrice di allegria e spensieratezza, e elogiandone grandezza e utilità per il raggiungimento della felicità.
Il libro, che si dispiega in un insieme di racconti ben scritti, porta il lettore per strade lastricate di inedite riflessioni ed esprime bene lo sconcerto dell'indugiare umano: "Ho perso la strada. Non so dove sono capitato, alla fine penso che non è poi una cosa di grande rilevanza se conosco o meno la via del ritorno. In fondo, non ho mai saputo nemmeno quella dell'andata. Continuo a camminare..." ; solo la follia o la a-normalità assoluta, incomprensibile per la massa, permette al personaggio il contatto vero con la natura, (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società. La follia quindi non è vista tanto come elemento negativo, quanto come elemento fondamentale della condizione umana con la quale fuggire la propria angoscia e il proprio dramma, come estremo rifugio, per potersi salvare dal dramma dell'esistenza...
La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo, e non c'è luogo dove non risplenda. (W. Shakespeare).
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Le poesie di Silvia Rossetti
>> sabato 29 novembre 2014
Questa che vi presento è una raccolta di poesie che mi ha colpito molto. L'autrice, Silvia Rossetti, scrive quasi non pensando di dover essere letta e questo è forse quello che più mi piace. Non si trova nella sua lirica nessun artificio, nessun filtro metrico precostituito; non c'è pensiero, ma pura sensazione ed è sublime. L'ermetismo di alcune poesie porta spontaneamente chi legge a un'introspezione profonda; il lettore si ritrova in un universo non giudicato, non pensato, non immaginato, ma invece intrinsecamente è pienamente vissuto, talvolta subíto, ma non nascosto mai a se stesso. La poetessa incarna l'Universo consapevole di sé e ne rimane attonita, schiacciata dal suo stesso essere, ma è proprio questa stessa consapevolezza a non permetterele di soccombere definitivamente. Nella poesia "La Vita", su tutte, si evince tale sensazione di immanenza dell'Assoluto e tale consapevolezza dell'esistenza elevata al di sopra di se stessa. Il verso conclusivo recita infatti: "...la tua anima anche se morta continuerà a vedere".
Non ho dubbi sul fatto che tale raccolta di poesie rappresenti la vera essenza dell'essere poeti, dove i versi sono solo un tramite di sensazioni di per sé inesprimibili. A tale riguardo ricordo quello che diceva Alda Merini: "Ho scritto migliaia e migliaia di poesie. Ma non ne ho conservata nessuna. Le regalo. Per me conservo i sentimenti che le hanno animate. Quelli sono i miei ricordi. Nelle poesie c'è solo l'effetto di quei sentimenti, c'è quello che rimane in superficie, ma l'uomo è rimasto mio."
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Signori si nasce...
>> mercoledì 26 novembre 2014
Io sono un uomo all’antica. (…) Il mondo moderno, il mondo d’oggi, per me non c’è, non esiste. Non lo vedo, non mi piace. Detesto tutto di esso: la fretta, il frastuono, l’ossessione, la volgarità, l’arrivismo, la frenesia, le brutte maniere, la mancanza di rispetto per le tradizioni, le stupide scoperte. Per questo vivo per conto mio, in un mondo mio, da isolato. Un mondo per bene.
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Recensione poesie di Mariano Lo Proto
>> martedì 25 novembre 2014
Penso che poesia sia Arte / quando è semplice, alla fine... Riporto questo verso che mi pare paradigmatico di questa opera.
Mi spiego: penso effettivamente che quella racchiusa da Mariano Lo Proto nella sua raccolta di poesie "Quaderno d'Echi" sia Arte (con la A maiuscola); è bravo non c'è dubbio e io di poesia ne ho masticata tanta e di tutti i tempi. La sua lirica è semplice, ma non a prima vista (alla fine, appunto), quando si riesce a mettere a fuoco cosa c'è dietro, quale sensazione, quale raccoglimento... Dopo di che appare finalmente limpida, come l'acqua di sorgente raggiunta dopo essersi affannati nella nebbia. Mi ha colpito la ricorrenza, nelle varie poesie, di una parola scritta in corsivo... Non sempre; a volte due o nessuna e la cosa intriga notevolmente: beata, sostanza, sentite, non simboli, le mele, l'uomo... Quasi a comporre una poesia trasversale che trascende il singolo verso o la singola lirica.
Tra tante banalità che si leggono in giro e che si spacciano per poesia, quest'opera fa tirare un vero e proprio sospiro di sollievo; mi fa venire in mente una frase di Renè Magritte:"Uno studioso al microscopio vede molto più di noi. Ma c'è un momento, un punto, in cui anch'egli deve fermarsi. Ebbene, è a quel punto che per me comincia la poesia."
Gennaro Cangiano
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Recensione poesie di Rosalba Salvadori
Queste due raccolte di poesie sono due vere e proprie perle. Rosalba Salvadori ha un modo tutto suo di esprimersi in versi; un modo che non prevede ne un'uniformità di stile, ne una scontata metrica puramente artificiosa. Originale è la parola che mi viene in mente.
La prima raccolta si intitola "I miei... Piccoli pensieri" e contiene alcune poesie che sono dei veri è propri capolavori; su tutte segnalo "Tumulti", lirica coinvolgente e profonda, in cui l'autrice riesce a trasmettere in maniera quasi plastica, concreta la sensazione di essere sopraffatta dai propri pensieri, dalle proprie emozioni, dalle proprie domande che le turbinano intorno come vento impetuoso. la sensazione che possa soccombere ad esse è forte nella prima metà della poesia, ma poi i versi si calmano, finchè il rifugiarsi in se stessa non è riconosciuto come il ritorno a una quiete quasi innaturale che ripara solo temporaneamente dai tumulti che ancora imperversano fuori di sé. Bellissima e inquietante allo stesso tempo.
La seconda raccolta è titolata "Finalmente vivere!" e, pur essendo comunque un insieme di poesie originalissime, lo stile è diverso dalla prima; è caratterizzata infatti da una poetica che tende a sfociare a volte nella prosa, pur mantenendo l'espressione in versi. Questa volta la raccolta integra in sé anche delle immagini molto suggestive, che riescono solo parzialmente a temperare delle sensazioni più cupe rispetto a quelle a cui la prima raccolta ci aveva abituati. Tutte le poesie hanno però un tratto in comune: è sempre annotato il tempo in cui sono state scritte, il momento esatto, come fosse un verso poetico parte integrante della metrica. Si ha la sensazione a volte che non si tratti di poesie, ma di vere e proprie fotografie, istantanee dell'anima in un preciso momento. Una raccolta di poesie non è mai una cosa semplice da decifrare o interpretare; se ne può cogliere solo la bellezza e la sincerità espressiva... Non si può, a tale riguardo, che essere d'accordo con Jorge Luisa Borges quando dice che : Ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere.
„
Gennaro Cangiano
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Rosalba Salvadori
La filosofia del metronotte
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Un collega GPG che legge il mio libro |
È un atteggiamento che mi aspettavo; quello cioè di chi sente oltraggiata e usurpata una propria prerogativa; come se pensare fosse una caratteristica solo di determinati esseri umani e non di altri. E meno male che non ho detto che per vivere faccio la guardia giurata, altrimenti come minimo si sarebbe stracciato le vesti come i farisei di evangelica memoria.
Al di là dell'aneddoto, che pure è indicativo, la cosa che mi è risultata evidente è la tradizione culturale dietro alle affermazioni espresse. Non so quali siano le origini territoriali del professore, ma sicuramente non risentono o non risentono più dell'influsso della magna Grecia. In città come Napoli infatti, dove questo influsso esiste forte, indipendentemente da quanto se ne abbia consapevolezza, la filosofia è invece il pane della vita e i più grandi filosofi li ho conosciuti in ambienti insospettabili; persone apparentemente ignoranti che erano però in possesso di una visione del mondo e dell'esistenza originalissima e degna dei più grandi pensatori della storia... (Continua...)
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L'umanità al bivio...
>> domenica 23 novembre 2014
Propongo la lettura della prima parte dell'introduzione del mio ultimo libro "L'umanità al bivio"... Buona lettura!
Esistono uomini che incarnano particolarmente lo spirito dell'umanità nel loro tempo; per lo più sono poeti; certo non mancano in altre discipline spirituali e intellettuali... Ma per lo più sono poeti e comprendo in tale categoria anche alcuni filosofi, alcuni drammaturghi, alcuni pittori, architetti... Tutti coloro cioè che esprimono la loro specifica arte in maniera musicale, armonica e che contribuiscono a ridurre lo spazio pur sempre esistente tra il sensibile e l'Assoluto.
Purtroppo oggi non sono molti. Mi vengono in mente pochi uomini che rientrano in tale categoria. Persone che elevano il loro indagare al di sopra dei bisogni immediati, ricordando all'umanità che non è composta da bestie.
Scriveva Nietzsche, insigne rappresentante della categoria, in "Schopenhauer come educatore":
"È certo una pena ben grave vivere così, come una bestia, tra fame e cupidigia, e senza giungere mai ad alcuna consapevolezza di questa vita; né si potrebbe pensare sorte più dura di quella della bestia da preda che è spinta nel deserto da un tormento che la rode al massimo; di rado è appagata, ma se lo è, lo è solo nel momento in cui l'appagamento diventa pena, cioè nella lotta dilaniante con altri animali o per l'avidità e la sazietà più disgustose. Essere così ciecamente e stoltamente attaccati alla vita, senza alcuna prospettiva di un premio superiore, ben lontani dal sapere che così si è puniti e perché, bensì anelare a questa pena, come a una felicità con la stoltezza di una orribile brama – questo significa essere una bestia [...]. Finché si aspira alla vita come a una felicità, non si è ancora sollevato lo sguardo al di sopra dell'orizzonte della bestia, si vuole soltanto con maggiore consapevolezza ciò che la bestia cerca spinta da cieco istinto. Ma così succede a noi tutti per la maggior parte della vita: in genere non usciamo dalla bestialità, noi stessi siamo le bestie che sembrano soffrire senza senso."
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In memoria di Davide
>> sabato 22 novembre 2014
Ci hanno spiegato, a noi che siamo ottusi, che quello che è successo al Rione Traiano di Napoli nei mesi scorsi, quando il giovane Davide moriva per mano di un carabiniere, ha le sue radici nel contesto illegale e degradato di Napoli; che è del tutto evidente che, ignorando l'alt dei carabinieri, i tre giovani se la sono cercata; che il loro essere in giro alle 2.30 di notte è indice di per sé di devianza... Ci hanno spiegato, ormai in mille modi, che ad uccidere Davide è stata Napoli, con la sua illegalità diffusa, la sua ignoranza, la sua intrinseca indole deviata; ci hanno spiegato che le forze dell'ordine sono vittime di questa situazione, esposti al pericolo ogni giorno; che le manifestazioni seguite ai fatti sono tutt'altro che spontanee, ma che, fomentate dalla camorra, servono a screditare i carabinieri e la polizia, ultimi baluardi della legalità, katekon che impedisce, tra mille difficoltà, alla città di scivolare definitivamente nel baratro infernale di se stessa... Ce lo hanno spiegato parlando da luoghi che, al contrario, sono patria di legalità e rispetto civico; pulpiti immacolati da cui, chi salva se stesso, grida l'inevitabile perdizione di una città che è sempre più un buco nero e tetro di inciviltà, indegno del sacrificio di tanti carabinieri e poliziotti che invano cercano di portare in quei luoghi quella stessa salvezza... Eppure non capiamo...ci spiegano e rispiegano, ma non capiamo... O forse, in realtà, capiamo troppo bene. Capiamo che il candore di quei pulpiti è lo stesso dei sepolcri imbiancati di evangelica memoria, da cui ogni predica è indicativa di un perpetuarsi dello status quo; capiamo che non c'è pietà nell'ipocrisia che indica l'apparenza più importante della sostanza. Nel ventre di quei pulpiti è profondo il fetore di un'umanità ormai perduta, che si ostina a descriversi come salva senza accorgersi che ha venduto da tempo la propria anima. Condannano Davide e non si accorgono delle loro famiglie distrutte, delle loro figlie prostitute a 14 anni per una ricarica telefonica o una borsa firmata, dei loro giovani figli drogati e alcolizzati, dei loro ideali marci di arrivismo; condannano il Rione Traiano e la sua povertà e non si accorgono della loro corruzione, di quanto il valore di uno solo degli scandali che si susseguono quella povertà avrebbe risolto cento volte; non sentono il loro razzismo, la cancrena dell'individualismo più becero... Capiamo benissimo la differenza che c'è tra tutela e abuso e, purtroppo, nel gesto di quel carabiniere non c'è alcuna tutela, come in mille altri gesti che, pur meno cruenti, si susseguono ogni giorno sulla nostra gente che, lo capiate o no, a differenza vostra ha ancora speranza di salvezza, ma una salvezza vera, pagata al caro prezzo della croce che trascina. Ne è testimonianza quella croce stessa che, nonostante il suo peso, non ha schiacciato il senso di appartenenza, della famiglia, del sostegno reciproco nelle difficoltà... Quartieri interi che si mobilitano a sostegno di pochi suoi membri ignoranti, poveri e indifesi, ma non soli...il Rione Traiano per Davide, così come Scampia per Ciro o Forcella per Annalisa, spiegano al mondo un'umanità che il mondo non comprende, perso nel fetore del suo stesso sepolcro... Che Dio abbia pietà di voi.
Gennaro Cangiano
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La civiltà del caffè sospeso...
>> mercoledì 3 aprile 2013
NAPOLI- "Il Caffè sospeso e la Pizza a 8, sono due atti d' amore e di fiducia dei napoletani verso i loro concittadini e gli italiani. Napoli rappresenta l' elevazione al cubo dei pregi e dei difetti del nostro paese. In un momento di crisi drammatica come quello attuale, la città invece di chiudersi a riccio nell' egoismo e nella barbarie, ha deciso di dare fiducia ai cittadini in difficoltà rispolverando due storiche tradizioni locali.
E' anche una risposta all' odio leghista, al livore di personaggi a nostro avviso indecenti come il Governatore del Veneto Zaia che da Ministro all' Agricoltura del governo Berlusconi prima ha tentato di levarci l' stg della pizza napoletana e poi ha fatto approvare una legge che sta danneggiando e azzerando i produttori di bufala Campana. Al rancore e cattiveria di questi personaggi rispondiamo con amore e generosità. Però è bene che i governanti tengano presente che la pizza a 8 ( cioè che si paga 8 giorni dopo averla consumata ) ed il caffè sospeso ( uno sconosciuto lascia pagato alla cassa uno o più caffè per chi non può permetterseli ) sono usanze che si sono sviluppate nel dopo guerra in condizioni economiche drammatiche. Il che significa che la popolazione ha difficoltà oramai anche a sfamarsi.
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Altro da me...
>> mercoledì 23 maggio 2012
Ieri era il ventesimo anniversario della
morte di Giovanni Falcone, di sua moglie e di 3 dei 7 agenti che lo
scortavano sull'autostrada verso Palermo, all'altezza dello svincolo
per Capaci... Ho seguito come tutti le celebrazioni, le dirette
televisive, i servizi dei telegiornali; ho letto sui giornali la
retorica dei commentatori, le analisi più o meno approfondite di
molti magistrati, gli interventi di praticamente tutti gli esponenti
politici (devo dire con l'assordante ed inedito silenzio dei leghisti
che, evidentemente, o non sono molto interessati da quello che
considerano politica estera o, come dice la procura di Reggio
Calabria, preferiscono la mafia calabrese a quella siciliana... chi
sa).
Quello che però mi ha fatto molto
riflettere è la palese distanza tra le analisi dei commentatori e la
mia esperienza personale; innanzitutto perché, questa mia
esperienza, combacia invece moltissimo con le analisi che Falcone e
Borsellino davano del fenomeno mafioso.
Il mare non bagna Napoli...
>> martedì 15 maggio 2012
Anna Maria Ortese (Roma 1914 - Rapallo 1998) ha delineato, in solitudine e a dispetto della disattenzione dei contemporanei, la sua straordinaria personalità di scrittrice, dei cui romanzi solo adesso forse siamo in grado di comprendere l'assoluta compatibilità con le coeve vicissitudini di quel genere narrativo. Al suo primo apparire, nel 1953, "II mare non bagna Napoli" sembrò a molti inserirsi in quel filone che allora e dopo venne chiamato "neorealismo"... Era tutt'altra cosa. Nato dall'incontro della scrittrice con la città uscita in pezzi dalla guerra, il libro è la cronaca di uno spaesamento.
Pubblicato nel 1953 da Einaudi, premio Viareggio dell’anno successivo, “Il mare non bagna Napoli” è una delle opere più note di Anna Maria Ortese. La raccolta di novelle fece conoscere la scrittrice, ma le valse anche l’ingiusta accusa di antinapoletanità. La città che emerge dai racconti, infatti, ha qualcosa d’infernale ed è presentata senza retorica, con sguardo critico e lucido. La scrittura si fa guida attraverso i vicoli, tra le tragedie familiari della plebe, le condizioni disumane di vita, senza quella “complicità” che aveva caratterizzato gli scrittori della napoletanità come Eduardo De Filippo. L’intento della Ortese non è denigratorio, come testimonia la Guida alla lettura pubblicata nell’ultima edizione Adelphi del testo del 1994; è, invece, quello di creare uno schermo su cui proiettare il proprio “doloroso spaesamento, il male oscuro di vivere”. Così la sofferenza e l’indignazione della scrittrice prendono corpo nei racconti quali “La città involontaria”, omaggio a Dante che mette a nudo la miseria umana, o “Il silenzio della ragione”, che chiama in causa gli intellettuali e la loro indifferenza. Emblematica è la storia di Eugenia, “Un paio di occhiali”, che apre il libro con il dolore della scoperta del mondo da parte di una bambina mezza cieca che finalmente può indossare gli occhiali per vedere “il mondo fatto da Dio” con il vento, il sole, il mare che aveva sempre immaginato e che invece è colta da una vertigine: “ le gambe le tremavano, le girava la testa, e non provava più nessuna gioia (…) Eugenia si era piegata in due e, lamentandosi, vomitava”. La realtà è intollerabile “alla vista” per la scrittrice; tolto il velo onirico, resta il male contro il quale si scaglia la sua polemica morale. La risposta ad un mondo senza speranza non è, tuttavia, la fuga, perché anche quella lascia un gusto amaro quando inevitabilmente bisogna fare i conti con la realtà, con quegli occhiali che svelano il dolore. E’ il caso di Anastasia Finzio, una donna rassegnata alla solitudine e alla povertà che sogna un’altra vita quando scopre che è tornato a Napoli il suo spasimante di gioventù, Antonio Laurano, e pensa di poter cambiare “come un viottolo che sembra morire in un campo sterrato, e invece, a un tratto, si apre in una piazza piena di gente, con la musica che suona”. Ma Antonio è fidanzato con un’altra, non resta che l’amarezza del reale: “Un sogno era stato, non c’era più nulla. Non per questo la vita poteva dirsi peggiore. La vita…era una cosa strana, la vita. Ogni tanto sembrava di capire che fosse e poi, tac, si dimenticava, tornava il sonno”...
Non ho dubbi... è un libro da leggere!
Gennaro Cangiano
Storia del teatro napoletano
>> giovedì 31 dicembre 2009
Il teatro a Napoli vede i suoi albori perdersi nella notte dei tempi. Certo non si pretende d'iniziare la nostra storia a partire dall'epoca dei Cesari, ne vogliamo narrare delle tante compagnie girovaghe che nel medioevo affollavano le piazze in tempi di fiere e mercati. Inizieremo la nostra storia a partire dall'anno 1500. Le prime notizie certe che ci vengono dalla storia, fanno risalire ai tempi della corte aragonese la nascita dei primi attori e commediografi napoletani. Infatti,verso la fine del quattrocento, alla corte aragonese, risplendente della gloria del Cariteo, appare un poeta di nome Pietro Antonio Caracciolo, autore di una farsa dal nome "La farsa de lo cito", della quale a noi sono giunti solo piccoli frammenti. Ma già qualche anno prima, il 4 marzo del 1492, in una sala di Castel Capuano, un altro poeta napoletano, Jacopo Sannazaro, celebrava le vittorie degli spagnoli e la presa della città di Granata alla presenza di Alfonso D'Aragona duca di Calabria, ridicolizzando la figura del profeta Maometto e magnificando le gesta del condottiero aragonese; quest'opera dal titolo "Arcadia" ricalcava quello che era lo stile drammaturgico del '500 e cioè fungere da specchio dorato per i regnanti, dove le trame e le battute altro non erano che strumenti di adorazione. Ciò non poteva certo andar bene ai cavalieri, bramosi di schietto divertimento. La svolta fu ad opera di P.A. Caracciolo che con l'opera "Imagico" (il mago) ripudiava il linguaggio merlettato e fiorito dei sovrani ed attingeva dal popolo sia la trama che la dialettica. Egli si presentò in scena «...togato, con faccia et barba antiqua de summa auctorità accompagnato da quattro soy discepuli de bianco vestiti». Possiamo quindi stabilire che i primi veri attori del teatro napoletano furono Jacopo Sannazaro e P.A. Caracciolo, autori e registi di se stessi, che ebbero, tra l'altro, anche il merito di far uscire il teatro dalle mura delle corti e dei palazzi reali, portandolo in mezzo alla gente che in futuro ne farà una ragione di vita.
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