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Speranza greca

>> venerdì 23 gennaio 2015


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Scontro di civiltà

>> sabato 10 gennaio 2015



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Il clima è davvero da"scontro di civiltà"? 
Questo nuovo clima è pienamente riflesso nel lavoro che vi presento di Claudio Corradetti e Andrea Spreafico, i quali si misurano coraggiosamente con una delle big questions del nostro tempo, saggiando criticamente la tenuta della tesi huntingtoniana del tendenziale “scontro di civiltà” e mettendo in campo un originale mix di considerazioni filosofiche nel merito del relativismo e della possibile traducibilità dei linguaggi, di teoria sociale e politica e di analisi sociologica empirica intorno al profilo culturale degli immigrati islamici in Europa. Il coraggio e il pregio del libro è quello di fare reagire insieme due piani: la domanda teorica intorno alla possibilità di un universalismo in grado di coniugarsi con la differenza delle identità e delle culture e lo sforzo di testare possibili risposte sul terreno concreto e pressantemente topical della tensione fra identità islamica e cultura occidentale.Il pregio maggiore del lavoro di Corradetti e Spreafico è proprio quello di camminare con grazia su una sottile corda che li tiene sospesi fra due precipizi entrambi da evitare: quello di un universalismo insensibile alle culture, alle differenze, ai contesti e quello di un’ermeneutica che delle culture, delle differenze, dei contesti rimane irrimediabilmente ostaggio. Un camminare sul filo che prende le mosse da una domanda pra- tica del presente – lo “scontro di civiltà” è veramente una minaccia ineluttabile e, nel caso, come possiamo evitarlo? – e la affronta combinando elementi tratti tanto dalla riflessione teorica sull’identità e sulla traducibilità interculturale quanto dai nostri saperi intorno alle identità oggi a maggior rischio di entrare in tensione con l’idea cosmopolitica di diritti umani fondamentali, quella islamica in primo luogo. La migliore teo- ria nasce sempre così. 

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Europa e il compito dell'intellettuale

>> giovedì 18 dicembre 2014


Come nell'antica agorà ateniese, tempio del dialogo e della ricerca filosofica, il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer e Gerardo Marotta, fondatore dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, si confrontano sul ruolo che può avere l'intellettuale nella crisi etico-politica del nostro tempo. Gadamer e Marotta rintracciano una singolare analogia tra la crisi della pòlis che vive Platone (la cui filosofia risponde a un altissimo impegno politico) e l'odierno smarrimento dell'occidente. Analoga, nelle due situazioni, deve essere la risposta ferma e appassionata della cultura e degli intellettuali. Di fronte alla crisi culturale e civile di un'Europa che stenta a costituirsi come entità politica, Gadamer e Marotta mettono in luce la necessità di un vitale dialogo tra i popoli, che sappia istituire ponti ermeneutici capaci di integrare e assimilare nuove energie in un processo inclusivo, solidale e tollerante. 

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Sciopero Generale... Che la pantomima abbia inizio!

>> giovedì 27 novembre 2014

immagine dal blog di ianuario

Per il 12 dicembre prossimo la CGIL e la UIL hanno dichiarato lo sciopero generale contro la riforma del mercato del lavoro. Azione legittima, ma che deve essere approfondita nel merito se si vogliono realmente identificare le responsabilità della situazione attuale.
Vediamo in che condizione siamo:


  1. l'Italia perde di competitività nei confronti di tutti i concorrenti mondiali, tranne in specifici segmenti di mercato che non riescono però a bilanciare la caduta libera del PIL;
  2. Non è più possibile utilizzare, da quando l'Italia ha aderito all'euro zona, la leva monetaria per sostenere le esportazioni, svalutando e rendendo quindi più competitive le merci italiane sul mercato estero;
  3. L'unico modo per rilanciare la competitività in tale sistema chiuso è la svalutazione dei salari, che, grazie alla ricaduta sui costi di produzione, otterrebbe lo stesso effetto di una svalutazione monetaria e in più la ridotta capacità d'acquisto della popolazione sarebbe dirottata verso merci di produzione italiana più economica, aggiustando la bilancia dei pagamenti e stimolando la produzione.


In questa situazione si inserisce la riforma del mercato del lavoro del governo Renzi che, consapevole della situazione, si appresta a varare in essa una restrizione dei diritti acquisiti che porti i lavoratori dipendenti in una soggezione tale da accettare, senza troppo colpo ferire, una riduzione dei salari reali, che resta il vero obiettivo della riforma. A cosa dovrebbero servire altrimenti la libertà di licenziamento o la libertà di video sorveglianza dei lavoratori?
Ora è chiaro che chi, come il sindacato, vuole rappresentare esattamente la classe dipendente, deve reagire a tale riforma oggettivamente reazionaria, ma lo si stà facendo senza volere veramente raggiungere l'obiettivo. Se infatti avvenisse, come richiede il sindacato, che la riforma non si facesse o non si facesse in questi termini, la situazione italiana non cambierebbe e l'emorragia occupazionale in atto, parallela al calo del PIL, non si arresterebbe. È chiaro che da tale situazione, che vede anche assolutamente repressa ogni possibilità di investimento pubblico, non ci sarebbe via d'uscita. Dico anche che se in tale situazione invece si decidesse di aumentare tutti gli stipendi, tale massa monetaria finirebbe per essere spesa nella stragrande maggioranza in merci prodotte all'estero, senza stimolare più di tanto la produzione ed aumentando la fuoriuscita di capitali già in atto e questo le segreterie nazionali del sindacato non possono non saperlo. Eppure, pur sapendolo, non propongono alcuna politica alternativa a quella del governo, dichiarando uno sciopero che sembra orfano della necessaria visione prospettica. Bisogna cioè riconoscere che, rimanendo ancorati agli attuali equilibri economici europei e internazionali, in cui l'Italia è stretta nell'essere elemento debole di un'area valutaria non ottimale, l'unica politica del lavoro possibile è quella che propone il governo e che sarà pagata tutta dai lavoratori. I sindacati, pur sapendo queste cose, si guardano bene dal dichiarare di voler mettere in discussione tale situazione; si limitano ad essere contro la manovra, ma, in assenza di un progetto politico e sociale alternativo, nessun risultato potrà mai essere raggiunto e i lavoratori saranno coinvolti ancora una volta in una pantomima che, oltre a costargli la giornata di sciopero, otterrà come unico obiettivo la rinnovata legittimazione dei sindacati agli occhi della massa, che non significherà nient'altro se non la salvaguardia dei privilegi sindacali esistenti. Mi duole dirlo, ma l'unica possibilità di salvare la situazione è che l'euro salti (non l'unione europea), restituendo agli stati la leva monetaria come mezzo di riequilibrio dell'economia internazionale e un sindacato che non ha il coraggio di dirlo non è degno di questo nome.

Gennaro Cangiano

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Cosa accadrebbe se uscissimo dall'euro?

>> mercoledì 26 marzo 2014


Una nazione seria quale dovrebbe essere l’Italia, si sarebbe dovuta porre le domanda negli anni 80 se conveniva entrare in un sistema a cambi fissi o quasi (SME) e negli anni 90 se conveniva entrare nell’Euro. Analogamente oggi dovrebbe porsi la domanda di quale futuro ci attende restando nell’Euro e quale se si tornasse a valute nazionali, e se c’e’ convenuto entrare nell’euro.
I dibattiti nostrani, invece, sono da sempre puramente ideologici, e mai analitici e numerici. La domanda comunque, merita una risposta, e scenarieconomici.it e’ a disposizione per migliorare ed arricchire l’analisi che vi presenteremo, ove vi fossero osservazioni numeriche e supportate.

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Altro che 3%...

>> giovedì 20 marzo 2014


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E' in arrivo la maxi-tassa per l'Europa: mille euro all'anno per persona per vent'anni

L'ultimo mostro targato UE: il Debt Redemption Fund (Fondo di Redenzione del Debito)

Altro che le buffonate del berluschinofiorentino! Altro che l'altra Europa dei sinistrati dalla vista corta! E' in arrivo sul binario n° 20 (anni) un trenino carico di tasse targate Europa. Ma come!? E le riduzioni dell'Irpef dell'emulo del Berluska? Roba per le urne, che le cose serie verranno subito dopo.

Di cosa si tratta è presto detto. Tutti avranno notato lo strano silenzio della politica italiana sulFiscal Compact, quasi che se lo fossero scordato, magari con la nascosta speranza di un abbuono dell'ultimo minuto, un po' come avvenne al momento dell'ingresso nell'eurozona per i famosi parametri di Maastricht.

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La frantumazione dell'area Euro...

>> lunedì 8 aprile 2013



Mentre in Italia il peggiore presidente della storia della nostra Repubblica, Giorgio Napolitano, sta facendo i salti mortali per mantenere lo status quo e preservare la fallimentare classe dirigente eurista, fuori dai palazzi il processo di frantumazione dell’area euro procede a grandi passi. Il recente caso diCipro ha fatto finalmente emergere a livello mondiale tutti i difetti di costruzione dell’unione monetaria più disastrata del pianeta ed ormai sarà impossibile per la tecnocrazia agire soltanto con la mistificazione e la propaganda mediatica per coprire e nascondere le magagne. In particolare il collasso di Cipro ha evidenziato due aspetti su cui si fondava il tentativo disperato dei menestrelli di regime di cambiare la realtà dei fatti: la crisi dell’eurozona non è una crisi di debito pubblico ma privato (bancario nella fattispecie, visto che in Europa i rapporti di debito-credito, risparmio-investimento sono intermediati principalmente dalle banche) e la liberalizzazione selvaggia e deregolamentata della circolazione dei capitali alla lunga crea insostenibili squilibri fra i paesi coinvolti. Adesso, soltanto i cialtroni patentati o gli analisti finanziari da bar dello sport potranno sostenere sfacciatamente in pubblico il contrario, senza essere zittiti con una sola parola: Cipro.

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Una risata li seppellirà...

>> sabato 9 marzo 2013

Monti dice di aver salvato l'Italia; Berlusconi dice che vuole salvarla; Bersani dice di essere una persona responsabile; Renzi dice di essere la speranza degli italiani; Alfano dice di essere un ministro dell'interno... daglie a ride!

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Economia a 5 stelle...

>> giovedì 7 marzo 2013



Riporto questo video perchè mi accingo a parlare di tagli alla spesa pubblica e, anche se quanto contenuto in esso non è la fonte di questo mio intervento, lo ritengo un elemento che va a completare il mio ragionamento e i miei conti che, stando al video, dovrebbero essere integrati per una trentina di miliardi, ma è un'addizione che preferisco lasciare al lettore, trattandosi pur sempre di un'approssimazione, mentre io i conti li voglio fare sul serio. Ma andiamo per ordine. 

Durante la trasmissione Ballarò del 5 marzo scorso, mi ha colpito un servizio che metteva insieme tutte le proposte economiche del M5S, arrivando alla conclusione che l'intero progetto del movimento sia irrealizzabile e che i tagli previsti nello stesso non arrivino nemmeno alla metà della copertura finanziaria necessaria... Non sono d'accordo e cerco di spiegare perchè, tenuto conto che innanzitutto il giornalista che ha confezionato il servizio non fa alcuna distinzione tra progetti a breve, medio e lungo termine, dando di fatto una visione molto distorta dell'intero progetto politico del movimento. Riportando le cose alla realtà dei progetti e della loro reale fattibilità, procedo alla mia analisi, premettendo che i dati di cui ho tenuto conto ho avuto cura di verificarli presso fonti istituzionali, nazionali ed internazionali, che non possono essere tacciati di incompetenza o di parzialità.





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Giornalisti e TV... (Seconda parte)



La “baby-sitter con un occhio solo”


La televisione iniziava a fare il suo ingresso come nuova tecnologia mass-mediatica proprio nel momento in cui venivano pubblicati i risultati del Radio Research Project, nel 1939. Sperimentata dapprima su larga scala nella Germania nazista, durante le Olimpiadi di Berlino del 1936, la televisione fece la sua prima apparizione pubblica alla Fiera Mondiale di New York del 1939, dove attirò vaste folle di persone. Adorno e altri riconobbero immediatamente il suo potenziale come strumento per il lavaggio del cervello di massa. Nel 1944 Adorno scriveva:
“La televisione punta alla sintesi di radio e cinema… ma le sue implicazioni sono enormi e promettono di intensificare l’impoverimento della sostanza estetica in modo così drastico che in futuro l’identità appena velata di tutti i prodotti culturali industriali potrà uscire trionfante allo scoperto, concretando in modo irridente il sogno wagneriano dellaGesamtkunstwerk, la fusione di tutte le arti in un’opera unica”.

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Il tramonto dell'euro

>> martedì 5 marzo 2013



il-tramonto-dell-euro-libro-1Secondo le dottrine indù Maya rappresenta l’illusorietà del divenire fenomenico che, pur non possedendo una realtà inerente, si frappone come un velo davanti al nostro sguardo, impedendo la vista del “reale” (da qui la definizione shopenauriana: “Il velo di Maya”)
            Se dal punto di vista ontologico viviamo in un’illusione, la stessa cosa si può dire secondo un punto di vista assai più terreno, quello della narrazione dei fatti e degli eventi e della vita di tutti i giorni, quello che si suole, con un eufemismo abbastanza grottesco, chiamare “informazione”.  Anche qui la rappresentazione dei fenomeni copre con uno spesso velo la realtà, solo che in questo caso il velo è costituito dalle menzogne con le quali, ciò che chiameremo pietosamente lo “spirito del tempo” (zeitgeist direbbero i colti) cela la verità delle cose attraverso le lenti deformate dalla propria visione del mondo (in questo caso, i colti di cui sopra, userebbero il termine weltanschauung).
            In quest’ottica possiamo osservare il castello di fandonie che è stato costruito, negli ultimi decenni, dalle varie marionette di regime (giornalisti, economisti, politici), riguardo alla costruzione del famoso “sogno” europeo, alla crisi, alla moneta unica. Tutto questo per convincere gi ignari cittadini  -e forse anche se stessi- che tutto quello che veniva attuato sulla loro pelle e loro malgrado, e che è costato loro “lacrime e sangue”, (economicamente parlando), veniva fatto per “il loro bene” (visto che vi è sempre qualcuno così lungmirante e generoso che conosce quale sia il bene altrui e lo persegue, nonostante tutto).

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il professor Prodi...

>> venerdì 18 maggio 2012


Vi ho già parlato di un economista eterodosso, un certo Pesce (o almeno così lo chiamavano a Roma), che in un convegno scientifico passato alla storia come il mountain workshop (il seminario della montagna), del quale sta per ricorrere il duemillesimo anniversario, disse una serie di cose di grande attualità, che via via abbiamo commentato in questo blog. Ieri alcuni lettori, chi in forma privata (per non perdere il posto di lavoro), chi in forma pubblica, mi hanno segnalato questo articolo di Repubblica, e le parole immortali di Pesce mi si sono stagliate davanti agli occhi: a fructibus eorum cognoscetis eos. 
Eh già! Perché per valutare appieno la portata di questa ennesima riedizione del mantra “più Europa”, più che entrare (o rientrare) nel merito di cosa sia una zona valutaria ottimale, occorre e basta scorrere la lista dei firmatari, e contare le menzogne, le pure, semplici, sfacciate, incontrovertibili menzogne (nel senso di sovvertimenti e presentazioni distorte della realtà fattuale consegnataci dalle statistiche) sulle quali i firmatari basano i loro argomenti.

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L'Italia non è un paese serio...

>> lunedì 14 maggio 2012


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Per una nuova Vandea

>> sabato 5 maggio 2012


La classica lettura della storiografia contemporanea sulle guerre di Vandea tende a liquidare la questione come una reazione clerical-monarchica alla Rivoluzione Francese. Subito dopo la presa della Bastiglia e prima ancora di aver tagliato la testa a Luigi XVI e Maria Antonietta, i rivoluzionari giacobini procedettero all’espropriazione di tutti i beni clericali che divenivano dal 2 Settembre 1789 proprietà della Nazione, pronti ad essere ceduti per rimpinguare le casse del nuovo stato nascente. Per opporsi a quest’esproprio fatto in nome del popolo e della I Repubblica Francese, clericali e nobili avrebbero – sempre secondo la storiografia progressista contemporanea – sobillato la classe proletaria contadina contro il nuovo regime rivoluzionario, per difendere i reazionari valori di Dio, Patria e Famiglia. Cittadini stolti e incapaci di comprendere l’inganno perpetrato dal vecchio potere politico in nome di valori frutto della religione, l’oppio dei popoli di cui parava Marx. Un giudizio sul popolo simile a quello che certa intellighentia dei giorni nostri tende a dare quando le elezioni vengono vinte dal “Cainano” di turno: il popolo è stolto e si fa abbindolare dalle false promesse che il Sultano di Hard-core emana attraverso i suoi potenti mezzi mediatici, detenendo ovviamente il controllo totale sull’informazione. Solo la minoranza illuminata del Paese è in grado di vedere l’inganno, grazie alla sua “superiorità culturale” che deve essere imposta attraverso gli alfieri della verità e della Justitia. In Italia questa cultura giacobina ha trovato in Travaglio, Santoro, Floris, Ezio Mauro, Padellaro e tutti gli altri esponenti del circo mediatico capital-progressista, degli ottimi interpreti. La magistratura impegnata e illuminata ha invece eseguito con grande impegno e costanza i precetti di detta cultura, di cui ne costituisce a pieno titolo il braccio armato.

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Il Centro Direzionale di Napoli

Il Centro Direzionale di Napoli è una vera e propria cittadella, sorta nel 1995, a ridosso di Poggioreale e della Stazione Centrale di Napoli.
Progettato dall’architetto giapponese Kenzo Tange, il Centro Direzionale è l’unico centro interamente formato da grattacieli dell’Europa Meridionale.
La storia del Centro Direzionale di Napoli, inizia negli anni ‘60, quando l’amministrazione cittadina, individuata la zona dismessa, decise la realizzazione di un centro prevalentemente adibito per la localizzazione di uffici, che fosse in grado di centralizzare il settore e contemporaneamente di decongestionare il traffico cittadino. La progettazione fu affidata a Kenzo Tange, che presentò il progetto nel 1982, e tre anni dopo fu dato il via ai lavori di realizzazione.

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Niente di nuovo sotto il sole...

>> giovedì 6 ottobre 2011


Alberto De Stefani - che fu ministro del Tesoro e delle finanze del primo Governo fascista e docente di Economia e Scienza delle finanze nella Facoltà di Scienze politiche all'Università “La Sapienza” di Roma -disse: «Mussolini ha perso la guerra con la “quota 90”.»
La “quota 90”  fu l'operazione con cui la lira fu rivalutata rispetto alla sterlina del 25%: la quotazione della sterlina fu ridotta da 120 a 90 lire. Mussolini accettò con entusiasmo il progetto perché i consulenti della Banca d'Italia (Stringer, Paratore, Beneduce e Volpi di Misurata) lo proposero come un segnale di prestigio e di rafforzamento della dignità dello Stato Italiano a livello internazionale. “Lira più forte” significò, per Mussolini, “Italia più forte”, esattamente come oggi,  “euro più forte” significa “Europa più forte”. 
De Stefani capì che, con la rivalutazione monetaria del 25%, aumentarono di pari percentuale i crediti e i debiti. Le Banche si arricchirono e le imprese fallirono per l'ingiustificato ed imprevedibile appesantimento dei debiti contratti per finanziare le attività produttive. 
L'Italia arrivò disarmata alla guerra per i fallimenti causati dall'insolvenza ineluttabile a seguito dell'ingiustificato aumento del valore del denaro oggetto del debito. 

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