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L'umanità al bivio...

>> domenica 23 novembre 2014

Propongo la lettura della prima parte dell'introduzione del mio ultimo libro "L'umanità al bivio"... Buona lettura!


Esistono uomini che incarnano particolarmente lo spirito dell'umanità nel loro tempo; per lo più sono poeti; certo non mancano in altre discipline spirituali e intellettuali... Ma per lo più sono poeti e comprendo in tale categoria anche alcuni filosofi, alcuni drammaturghi, alcuni pittori, architetti... Tutti coloro cioè che esprimono la loro specifica arte in maniera musicale, armonica e che contribuiscono a ridurre lo spazio pur sempre esistente tra il sensibile e l'Assoluto.
Purtroppo oggi non sono molti. Mi vengono in mente pochi uomini che rientrano in tale categoria. Persone che elevano il loro indagare al di sopra dei bisogni immediati, ricordando all'umanità che non è composta da bestie.
Scriveva Nietzsche, insigne rappresentante della categoria, in "Schopenhauer come educatore":
       "È certo una pena ben grave vivere così, come una bestia, tra fame e cupidigia, e senza giungere mai ad alcuna consapevolezza di questa vita; né si potrebbe pensare sorte più dura di quella della bestia da preda che è spinta nel deserto da un tormento che la rode al massimo; di rado è appagata, ma se lo è, lo è solo nel momento in cui l'appagamento diventa pena, cioè nella lotta dilaniante con altri animali o per l'avidità e la sazietà più disgustose. Essere così ciecamente e stoltamente attaccati alla vita, senza alcuna prospettiva di un premio superiore, ben lontani dal sapere che così si è puniti e perché, bensì anelare a questa pena, come a una felicità con la stoltezza di una orribile brama – questo significa essere una bestia [...]. Finché si aspira alla vita come a una felicità, non si è ancora sollevato lo sguardo al di sopra dell'orizzonte della bestia, si vuole soltanto con maggiore consapevolezza ciò che la bestia cerca spinta da cieco istinto. Ma così succede a noi tutti per la maggior parte della vita: in genere non usciamo dalla bestialità, noi stessi siamo le bestie che sembrano soffrire senza senso."

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Giornalisti e TV... (Prima parte)

>> giovedì 7 marzo 2013


“Io conosco il segreto per far credere all’americano medio tutto ciò che desidero. Datemi soltanto il controllo della televisione… mettete qualsiasi cosa in televisione ed essa diventa realtà. E se il mondo esterno alla TV contraddice le immagini, la gente inizierà a modificare il mondo per adeguarlo alle immagini della TV…”


(Hal Becker, “esperto” di media e consulente del management per The Futures Group, intervista del 1981) [1]

Nei 15 anni trascorsi da questo commento di Becker, gli americani sono diventati sempre più “connessi” a una rete mediatica di massa che ora comprende anche computer e videogames, nonché internet. Una rete onnipresente il cui potere è così pervasivo da essere dato quasi per scontato. Come ha detto un noto comico: “Siamo davvero un popolo la cui coscienza è mediatica. Conosco un tale che è stato investito da una macchina per la strada. Non ha voluto andare all’ospedale. Si è trascinato invece fino al bar più vicino per controllare se lo avevano messo nel telegiornale della sera. Quando ha visto che non c’era, ha esclamato: “Ma che bisogna fare, farsi ammazzare, per andare in televisione?”.

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L'Italia non è un paese serio...

>> lunedì 14 maggio 2012


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Per una nuova Vandea

>> sabato 5 maggio 2012


La classica lettura della storiografia contemporanea sulle guerre di Vandea tende a liquidare la questione come una reazione clerical-monarchica alla Rivoluzione Francese. Subito dopo la presa della Bastiglia e prima ancora di aver tagliato la testa a Luigi XVI e Maria Antonietta, i rivoluzionari giacobini procedettero all’espropriazione di tutti i beni clericali che divenivano dal 2 Settembre 1789 proprietà della Nazione, pronti ad essere ceduti per rimpinguare le casse del nuovo stato nascente. Per opporsi a quest’esproprio fatto in nome del popolo e della I Repubblica Francese, clericali e nobili avrebbero – sempre secondo la storiografia progressista contemporanea – sobillato la classe proletaria contadina contro il nuovo regime rivoluzionario, per difendere i reazionari valori di Dio, Patria e Famiglia. Cittadini stolti e incapaci di comprendere l’inganno perpetrato dal vecchio potere politico in nome di valori frutto della religione, l’oppio dei popoli di cui parava Marx. Un giudizio sul popolo simile a quello che certa intellighentia dei giorni nostri tende a dare quando le elezioni vengono vinte dal “Cainano” di turno: il popolo è stolto e si fa abbindolare dalle false promesse che il Sultano di Hard-core emana attraverso i suoi potenti mezzi mediatici, detenendo ovviamente il controllo totale sull’informazione. Solo la minoranza illuminata del Paese è in grado di vedere l’inganno, grazie alla sua “superiorità culturale” che deve essere imposta attraverso gli alfieri della verità e della Justitia. In Italia questa cultura giacobina ha trovato in Travaglio, Santoro, Floris, Ezio Mauro, Padellaro e tutti gli altri esponenti del circo mediatico capital-progressista, degli ottimi interpreti. La magistratura impegnata e illuminata ha invece eseguito con grande impegno e costanza i precetti di detta cultura, di cui ne costituisce a pieno titolo il braccio armato.

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Chi è il prigioniero?

clicca sull'immagine e scarica il libro in formato PDF
"V'è più ragione di ridere quando sei in fondo, che quando sei in cima; - almeno tu non temi più di dare la balta. Il riso dell'uomo felice può essere smentito da un punto all'altro. La Fortuna non fa contratti perpetui con nessuno. Il suo corso è a spirali, e non rettilineo. Oggi t'abbraccia, e ti mette sul capo un diadema; dimani ti taglia la testa, e la dà per balocco all'abietto, che faceva da sgabello ai tuoi piedi...." 

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Lentamente muore



 
Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.
Pablo Neruda 

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