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Pronti, propaganda, via!

>> sabato 19 maggio 2012


Quando un attentato come quello di Brindisi ha una così chiara matrice (per me, almeno, il modus operandi è inconfondibile, quasi una firma), la funzione della stampa cartacea e televisiva è sempre la solita:

a) Far sì che chi deve recepire il messaggio lo recepisca forte e chiaro, con tutti i suoi elementi "simbolici" di contorno. Non sto parlando di simbolismo "massonico" o altre amenità simili, ma è chiaro che un attentato contro una scuola, che non colpisce quindi in modo diretto i centri di potere che si intende ricondurre a più miti consigli (forse perché non vuole colpirli direttamente, forse perché non può farlo), rappresenta per tali centri un avvertimento in cui il messaggio è contenuto, per forza di cose, nel momento, nel luogo, nei nomi, nelle modalità, ecc. In questo caso, come ripeto, il destinatario sembra essere Finmeccanica e tutti quegli ambienti economici, finanziari, industriali e politici che con essa stanno "tramando" qualche mossa di cui ancora non riesco a percepire i caratteri (o che semplicemente si oppongono alla privatizzazione che è stata gia decisa), ma che deve avere comunque per fulcro un qualche riassetto strategico nazionale o più probabilmente (vista la bestialità dell'attentato) internazionale;

b) Far sì che tutti gli altri non ci capiscano niente. Ecco quindi che l'apparato di disinformazione tira fuori dalla saccoccia il solito armamentario di termini senza nessun significato, buoni per chi si ciba di parole anziché di ragionamenti: la mafia, il terrorismo, la vile aggressione allo Stato, ecc. ecc. Mi stupisco di non aver sentito nominare, in questa occasione, anche gli anarco-insurrezionalisti. Nella pletora di minchiate che si sfoderano per queste grandi occasioni non avrebbero sfigurato affatto.

Gli elementi simbolici dell'attentato sembrano essere:

1) La città di Brindisi; 
2) Il nome di Giovanni Falcone.

Entrambi questi elementi vanno a pennello per i due scopi di cui sopra. La città di Brindisi è legata a doppio filo a Finmeccanica e questo fa sì che il messaggio, per chi ha orecchie per intendere, sia inequivocabile; per tutti gli altri essa evoca il sud e quindi "la mafia", entità metafisica di cui nessuno si preoccupa di definire i connotati e che può essere pertanto tirata in ballo per spiegare qualunque cosa, dai teoremi di Euclide alla fisica del karma.

Falcone, per chi si ciba di fandonie a mezzo stampa, evoca una non meglio precisata "strage mafiosa" (anche qui, nessuno si preoccupa di definire con più precisione cosa significasse il termine "mafia" in quel contesto e a quali interessi facesse capo), rappresentando un'ottima ecolalia di chiacchiere senza costrutto che consente di rintronare le orecchie dell'uomo comune con una bella fiaba moralistica da raccontare sul treno agli amici pendolari.

Per chi ha orecchie per intendere, invece, il nome di Falcone evoca il colpo di stato di vent'anni fa, in cui l'intera elite politico/industriale della nazione fu fatta fuori per lasciare spazio ad una nuova "elite" di gaglioffi, totalmente sottomessa agli ordini statunitensi. In particolare, Falcone era uno degli uomini su cui la vecchia elite aveva puntato per opporre resistenza allo stravolgimento che si prospettava e che fece la fine che sappiamo, insieme ad altri esponenti di spicco del vecchio apparato industriale recalcitrante alla sottomissione (Raul Gardini, principale artefice della nascita del colosso chimico Enimont, che riuniva in sé le competenze settoriali di ENI e Montedison; Gabriele Cagliari, ex presidente della stessa ENI, entrambi "suicidati" con modalità risibili, su cui nessuno si è mai preso la briga di indagare seriamente). Le modalità di quel colpo di stato si stanno oggi ripetendo, in maniera forse non identica, ma piuttosto simile: anche oggi, come allora, i principali partiti dell'arco istituzionale (Lega e PdL, con qualche puntatina dalle parti di Formigoni) vengono fatti fuori con scandali vari e linciaggi a mezzo stampa, per lasciare il posto a... non si sa bene che cosa, ma sarà senz'altro qualcosa che dismetta ogni residua pretesa di autonomia dall'ordine politico/industriale voluto dagli ambienti statunitensi. Anche oggi, come allora, il malcontento popolare (che potrebbe raccogliersi intorno a formazioni politiche agguerrite) viene assorbito e neutralizzato da partitucoli insignificanti (Grillo), con progetti velleitaristici, prospettive dozzinali, nessun potere concreto e - soprattutto - nessuna teoria politica di base, fosse pure la più strampalata. Anche oggi, come allora, uno stillicidio di attentati inizia a marcare il "passaggio di consegne". Forse per evitare che qualche ambiente d'elite troppo intraprendente si metta in testa di sfruttare la fluidità della situazione internazionale (crisi degli USA, possibile crack dell'eurozona, revanscismo della potenza russa, ecc.) per riposizionarsi su nuove configurazioni internazionali non gradite agli attuali dominanti. Cosa ne verrà fuori è un'incognita, ma sappiamo in partenza di non poter più contare (come invece potevamo vent'anni fa) né sull'attitudine all'esercizio di un certo livello di sovranità, né su un sistema industriale di discreta rilevanza internazionale, né sulla solidità di certi settori strategici (chimica, energia, industria militare), né tantomeno su un ceto politico di solida o almeno accettabile formazione. In questo scenario, gli esiti del "nuovo golpe" appaiono scontati (e infatti i sommovimenti politico/istituzionali, seppur simili per modalità a quelli del '92, sono stati, rispetto ad essi, assai attutiti nell'intensità: questa volta i dominanti non avranno bisogno di impegnarsi più dello stretto indispensabile). Però, siccome la partita non è finita finché non risuona il fischio di chiusura, conviene osservare comunque gli eventi con attenzione; non fosse altro che per vedere se le elite italiane esistono ancora, se abbiano per caso imparato qualcosa dalla lezione di "Mani Pulite" e se abbiano approntato, in questi vent'anni, un qualche piano d'azione più brillante. O se invece, al contrario, ciò che resta di loro si lascerà macellare anche stavolta senza opporre troppa resistenza, impreparata ad una strategia che è ormai alla sua millesima replica, ma che - chissà perché - ogni volta che viene rimessa in scena non manca mai di provocare striduli "oh" e "ah" di sbalordita sorpresa.

Gennaro Cangiano

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