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Una vita con Sergio Bruni, il maestro dimenticato

>> martedì 5 gennaio 2010



Non ama i confronti. Adora essere riconosciuto per quello che certamente è, un personaggio diverso, appassionato e tagliente nelle sue convinzioni. Era il 1986 quando debuttò con "I Nuovi Cantori di Napoli" al Sannazaro. E quello spettacolo, impreziosito dalla presenza di Sergio Bruni e dalle orchestrazioni di Roberto De Simone, riscosse un grande successo. Da allora Peppe Napolitano promuove la canzone d' arte attraverso se stesso e quello che sa fare. «La mia scelta è da artigiano rigoroso - dice - mi piacciono le cose fatte bene». Con questo slogan va diffondendo nel mondo la tradizione musicale partenopea attraverso le nostre rappresentanze diplomatiche e tra gli studenti delle scuole con concerti-lezioni di alto livello esecutivo. «Trasmetto uno stile di canto etnico che ai giorni nostri è degenerato e forse sta per estinguersi». Cinquantotto anni, padre di due figlie, Peppe vive a Cercola e appare, per le cose che fa, come l' ultimo dei Mohicani. Il lungo sodalizio con Sergio Bruni, del quale è stato allievo prediletto e depositario di mille confidenze, lo ha spinto, oltre che a cantare, a riproporre il sogno del maestro: dar vita a un centro della cultura e delle tradizioni canore e musicali napoletane. Un obiettivo ambizioso che lui spiega così: «Nel corso degli anni la nostra canzone si è diffusa universalmente, è stata tradotta in tutte le lingue. Non esiste nessun luogo dove il processo d' identificazione tra una città e la sua produzione poetico-musicale è così pieno e totale. Eppure a Napoli non c' è una struttura per apprendere quest' arte canora». «Ci sono tanti ragazzi - sottolinea - che hanno una voce straordinaria, ma cantano canzonacce, si insiste su modelli sempre più banali abbandonando la specificità della canzone napoletana». Fuori dai circuiti commerciali, Peppe si autopromuove senza clamore, e per rivendicare la propria diversità racconta che, da uomo di carattere, ha persino rifiutato di cantare a Palazzo Reale. «Avrei dovuto fare l' intrattenitore mentre gli ospiti consumavano il buffet. Un' assurdità. Dice una canzone di Sergio Bruni: "levatem' a cravatta, levatem' a giacchetta, ma lasciatem' a libertà"». Risale ad agosto scorso l' ultimo concerto tenuto nel chiostro di Santa Maria La Nova. Dotato di una voce definita "porosa come il tufo", Peppe si esibisce da anni in un repertorio che spazia dalle villanelle del cinquecento alla canzone digiacomiana e successiva: un percorso canoro nella forma più tradizionale. «Io e il mio gruppo siamo da anni impegnati a liberare la canzone napoletana dall' improvvisazione e dalle vocalità e gestualità esagerate». Tante le rassegne concertistiche realizzate negli anni, e le sue tournée all' estero. Dal Vokal Festival di Dortmund al Festival "Les Allumees" di Nantes, da Parigi al British Museum di Londra, dalla Casa della Letteratura di Monaco di Baviera al "Festival en Beaujolais", passando per New York, Tobruk, Bengasi, Bastia, il Maxim Gorki Theater di Berlino, l' Università di Lione. Due anni fa ad Algeri, invitato dall' ambasciata italiana, tenne un concerto alla presenza di 27 ambasciatori, e poi si esibì alla tv algerina. Peppe sa rivelare di sé le vibrazioni più intime confessando che da giovane aveva un' idea in testa e pochi soldi in tasca. E che ha sofferto la gaiezza dei disperati, quella che ti porta a occultare la profondità e a tenere tutto in superficie. Un impasto di cose che gli ha lasciato il segno. «Mio padre era un povero disoccupato, vivevamo a Ponticelli in una casa che, al confronto, la grotta di Betlemme era l' hotel Hilton. Fino a che tamponai i bisogni materiali trovando un lavoro al Commissariato per la ricostruzione post-terremoto». Ma non è facile fare il passacarte coltivando internamente la passione per il canto. Il fatto è che se non ti offrono la tentazione, è inutile dichiararsi santo. La tentazione di Peppe fu l' incontro con il principe della canzone napoletana: Sergio Bruni. «è stato la colonna sonora della mia vita. - racconta con qualche traccia di nostalgia - Lo vidi un giorno alla Torretta seduto in una Renault 5. E io, timido e imbarazzato, ero indeciso se avvicinarmi. Fui spinto a farlo da una mia amica. Dapprima lui mi scambiò per un poeta, poi quando seppe che volevo cantare mi disse che era curioso di sentirmi e, per incoraggiamento, mi diede il suo numero di telefono». Peppe registrò una cassetta con quattro canzoni e sei mesi dopo telefonò a Bruni per portargliela a sentire. «Ascoltò "Mmiez' o grano", di Nicolardi, ma a metà canzone bloccò il nastro. Addio, pensai, mo' mi caccia. Invece disse: quanti anni hai? Trentatré, risposi. E dove sei stato nascosto per tutti questi anni? Tu hai il codice per cantare queste canzoni. Proprio così disse, il codice». Questione di feeling: frequentando per vent' anni la casa di Bruni, una villa del parco Maria Cristina di Savoia, Peppe imparò a suonare la chitarra e ad affinare il canto. «Andavo a scuola da lui dalle 11 di sera fino alle due e mezza di notte, poi tornavo a casa e mi spellavo i polpastrelli esercitandomi nel bagno per non farmi sentire da mia moglie che dormiva». Fu Sergio Bruni, severo, a trasmettergli il rigore delle cose che agli altri poteva apparire maniacale. «Per fare lo spettacolo al Sannazaro ricordo che provammo a casa sua per un anno intero e poi di notte nel teatro, aspettando che uscisse prima il pubblico. Negli anni ottanta, Bruni era un idolo canoro: tutti i partiti lo corteggiavano per averlo in lista, offrendogli l' assessorato alla cultura. Ma lui rifiutò sempre. Era stato combattente partigiano, devotissimo alla Madonna di Loreto, ma si teneva lontano dalla politica». Bruni è morto il 22 giugno del 2003. «Era una domenica - ricorda Peppe - il maestro fu sepolto momentaneamente a Somma Vesuviana, in una tomba anonima offerta da un parente. I politici del tempo presero l' impegno solenne di riportarlo presto nel cimitero di Napoli, a Poggioreale. Invece sono passati cinque anni ed è ancora lì». Tutti i grandi cantanti napoletani, tranne Giacomo Rondinella, sono pressoché dimenticati. Peppe li cita uno per uno: Franco Ricci, Tullio Pane, Aurelio Fierro, Roberto Murolo, Mario Abbate, Nunzio Gallo, Maria Paris, Renato Carosone, Mario Merola. «Non per vedere le cose con gli occhiali scuri, ma se si continua così la canzone napoletana è spacciata. Bisogna arrestarne il declino prima che sia troppo tardi. Perciò mi sono trasformato in promotore culturale presentando un progetto per un teatro stabile della canzone napoletana. è stato bene accolto, tra breve si dovrebbe concretizzare». - GOFFREDO LOCATELLI


Repubblica — 11 gennaio 2009   pagina 14   sezione: NAPOLI

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