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Teologia comica

>> domenica 28 dicembre 2014


Tratto da Theologhia.it

Per indole non sono un agente segreto da sant’Uffizio. Odio viziare tutto con giudizi inappropriati. Mi è stato chiesto da più di una persona un parere sulle due serate di Benigni sui dieci comandamenti e ho promesso – a una di loro – che se mi fosse venuto in mente qualcosa di semi-intelligente, avrei risposto.
Sicuramente quello che reputo semi-intelligente non farà piacere ai totalmente intelligenti, ma ognuno nella vita fa quel che può. Mi consolo che il mio sito non è coperto dal canone del contribuente e che quindi posso pensare ad alta voce qui senza “rubare” ad alcuno.  E così dare una risposta al volo a chi mi ha interpellato. Più che una risposta, è un esame di coscienza, per me… e per chi vuole mettersi in discussione.
La premessa fondamentale per me è questa: se ti sei messo ad ascoltare Benigni per ripassare il catechismo, hai scelto il posto sbagliato. Figlio, va ad ascoltare le catechesi sui dieci comandamenti. Sono davvero belle… e mettile in pratica… Benigni va ascoltato e valutato come un “personaggio” – un comico e un letterato – che fa una sua lettura, non necessariamente condivisibile in toto nel contenuto, ma non per questo da buttare via, anche perché abbiamo tanto da imparare dalla forma. E sinceramente preferisco Benigni in prima serata che tanto dello trash televisivo vomitevole che troviamo in giro (e che fortunatamente snobbo).
Quindi, il mio consiglio agli “scribi” battezzati di non continuare la lettura. La presente non è una valutazione teologica. Se volete una valutazione teologica fate una cosa: aprite il catechismo, il mio e il vostro catechismo. E prima di tutto osservate il quinto comandamento… con la lingua.

La mia opinione si sviluppa in dieci punti:

1- Passione

Come non ringraziare Benigni per la passione che ci ha messo nel narrare, raccontare e interpretare? – anche se non condivido tutto quello che ha detto, condivido il pathos con cui l’ha espresso.
Parlo da annunciatore della Parola, ma anche da uditore della parola, specie la parola di predicazione. Riconosco che il nostro primo errore grave è questo: parlare della Passione senza passione! Ma come si può?!! Come possiamo ridurci alla triste constatazione di Kierkegaard: un professore di teologia [o un predicatore] è uno che lavora perché un altro è morto?
In quante messe si vive – da credenti uditori – la “passione di Cristo”, non perché siamo dei mistici, ma perché patiamo omelie smorte che sanno di naftalina piuttosto che di freschezza evangelica?
Ricordiamoci il monito del grande Gregorio di Nazianzo: «Il bello non è più bello, quando non si riproduce in maniera bella».

2- Entusiasmo

Come non compartire anche l’entusiasmo, quella parola magica che contiene tra le sue pieghe la menzione dell’«essere in Dio», “en-thous”, essere invasi, mossi e commossi dalla presenza di Dio.
L’entusiasmo è quella scintilla di bellezza – e quale vera bellezza non viene da Dio?! – che mettiamo in ogni parola. E solo il bello scatena lo splendore del vero e rende simpatico il volto del bene.
Penso a Gesù, ai giorni della sua vita terrena, all’esultanza – al contagio d’entusiasmo – di quella donna che in mezzo alla folla è esplosa in un sincero elogio… Si fa riferimento circa 36 volte nei sinottici all’autorevolezza di Gesù (exousia)… quanto manca questo nel nostro annuncio, noi scribi cristiani!

3- Meraviglia

Alla narrazione “credulona” della biografia di Mosè, all’inizio ho storto il naso, con un sorriso ironico sulle labbra. Per la razza a cui indegnamente appartengo, tre quarti della Scrittura è ormai genere letterario. Si racconta una barzelletta riguardo all’annunciazione a Maria ove si dice che, dopo vari studi storico-critici, è stato possibile risalire alle parole esatte dette dall’arcangelo alla Vergine: “Non temere Maria, sono solo un genere letterario”.
… Ma poi ho pensato: facciamo sempre i troppo intelligenti… razionalizziamo tutto riducendo all’osso il racconto biblico credendo che solo noi abbiamo scoperto l’acqua calda. In realtà, il redattore finale del testo biblico era molto più intelligente di noi (e non solo perché ispirato) e ha fatto una scelta narrativa sapendo che il testo verrà primariamente raccontato, e poi successivamente spiegato. Il testo della Bibbia merita, non solo di ispirare sculture ed affreschi, ma anche una narrazione fresca che colpisce.
È quel senso di meraviglia da bambino che lodo in Benigni. Sapersi meravigliare! che dono spirituale amici! L’amico Chesterton diceva: “Il mondo non morirà per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia”.

4- Preparazione

Non mi dite che non vi siete accorti che Benigni aveva preparato il suo discorso, memorizzando pezzi interi di citazioni bibliche, culturali, conoscendo a memoria anche la sequenza che voleva seguire. Quanto abuso di grazia noi facciamo, con discorsi e omelie non preparate, non caricate prima di essere sparate. Quanto serbiamo di quanto annunciamo?
Mi ricordo una conversazione di qualche anno fa che rasenta l’incredibile con un sacerdote che conoscevo. Non spiccava di capacità comunicative durante l’omelia e confesso che – come con Beautiful – ogni volta che l’ho sentito, l’ho visto dire la stessa cosa… La stessa predica a “Natale... Pasca e Ppifania!!!”. Parlando una volta con lui, gli chiesi: “Come prepari la tua omelia?”. La risposta fu: “No, io non la preparo! Io lascio parlare lo Spirito!”. – in cuor mio dissi: “quant’è monotono!”.
Quanto non tollero l’abuso della Grazia! «Da un grande potere, derivano grandi responsabilità» diceva lo zio dell’uomo ragno. Forse una lezione sulla grazia più profonda di tanti nostri schemi che meriterebbero un secco: «sta scritto anche: non tentare il Signore tuo Dio»

5- Amare la vita



La spiritualità di massacro, costruita su una “cadaverizzazione” di ogni istinto vitale, non è cristiana. È il pesante retaggio platonico e neo-platonico che ha inquinato l’antropologia biblica. Soltanto un sano ritorno alle sorgenti ci ha permesso (e ci permette) di cogliere che Dio non crea la vita per fare il dispetto di soffiarcela da sotto il naso, crea la vita per essere vissuta… ma vissuta bene, «in abbondanza» (cf. Gv 10,10). 
Una vita consumata – per intenderci – non è vissuta, ma è bruciata… Ma vale lo stesso per una vita repressa. I santi non vivacchiano, i santi vivono l’armonia dell’amore nel Respiro pieno di Dio.

6- La legge per la libertà
È bello come Benigni metta in luce che Dio dona la legge, non per opprimere la vita, ma per farla fiorire. Le “dieci parole” sono “istruzioni per l’uso”, per liberare la libertà e realizzare la vita: renderla reale proprio perché realista.
Già, l’inizio delle “dieci parole” – e nelle due versioni (Es 20,2; Dt 5,6) – ci offre la dichiarazione d’intenti di Dio: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese di Egitto, dalla condizione servile». Come per dire: ora che sei libero, non farti più imporre un giogo di schiavitù, quel giogo realmente serio, del male, della falsità, dell’autogol. Nessuno ti può fregare meglio di te stesso. È un “peccato” che una creatura così bella come te si abbruttisca…
7- Il comandamento della felicità
È un “peccato” che tu non sia felice!! Se liberassimo la parola “peccato” dall’accezione arbitraria e moralistica, scopriremmo come Dio ci invita alla pienezza di cui quasi non osiamo sperare la realizzazione, quella di essere divinamente felici. Lo diciamo nel linguaggio di ogni giorno, quando perdiamo un’occasione: “che peccato”. Quanto più dobbiamo dirlo ogni volta che sprechiamo attimi di eternità remando contro la nostra gioia, la vera gioia!
Mi viene in mente il Dostoevskij di I fratelli Karamazov. Il grande romanziere, che in quel romanzo condensa la spiritualità cristiana, specie quella della tradizione ortodossa, scrive più o meno così: ‘Il comandamento di Dio per l’uomo è la felicità. Se arrivi ad essere veramente felice, puoi presentarti a Dio e dirgli: Signore, eccomi, ho adempiuto il tuo comandamento’.
Non a caso, la gioia è frutto dello Spirito Santo (cf. Gal 5,22). Chi vive secondo Dio vive secondo natura, la nostra vera natura, che è il soprannaturale! Vive della gioia eterna di Dio. Ma è interessantissimo notare che, nel versetto paolino (Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé), la gioia è elencata come parte integrante e inscindibile di un “pacchetto unico” non vendibile singolarmente. Infatti, pur elencando vari elementi, Paolo parla di un frutto solo,( Ὁ καρπὸς), per indicarci che non si può essere felici senza amare, senza essere operatori di pace, senza dominio di sé, ecc.
* * *
Caro Roberto, ho però da rimproverarti un paio di cose… (Mi sembro l’angelo dell’apocalisse… lo faccio a posta… tanto siamo tra omonimi). Facciamo che siano tre, così chiudiamo con dieci piccoli punti… Sì, lo so che non sei teologo e non hai fatto una replica del catechismo, e nessuno si deve aspettare che tu faccia “la catechesi dei dieci comandamenti”. Infatti, non vado a setacciare tutto quello che hai detto… ma così, tanto per, 3 piccoli “rimproveri”, o meglio puntualizzazioni. Dopo sette elogi, me lo permetterai con affetto, spero. Passo al tono personale perché non faccio calunnia, ma dialogo per crescere.
8- Fare di tutta l’erba un fascio
Mi sei piaciuto tanto sia nel commentare la quinta parola, “non uccidere”, e la quarta, “onora il padre e la madre”. Anzi, ti devo confessare. Sentendo il quarto comandamento, sarà forse l’età, sarà la distanza (fisica) dai miei … mi sono pure commosso. Ecco, a proposti di quarto e quinto comandamento. Non vorrei essere drammatico… però, non ti sembra di esagerare e di “uccidere” grazie al tuo potere mediatico (10 milioni di uditori!!) tanto del bene fatto dalla Chiesa di Cristo. Quando dico Chiesa, non parlo solo di preti, vescovi, ecc… parlo di tutto questo popolo di Dio che fa l’opera d’amore di Cristo, che vive il comandamento nuovo dell’amore come Gesù.
Ti cito questo piccolo pezzo da un’udienza di papa Francesco di ottobre scorso: «tante volte sentiamo dire: “Ma, la Chiesa non fa questo, la Chiesa non fa qualcos’altro…” – “Ma, dimmi, chi è la Chiesa?” – “Sono i preti, i vescovi, il Papa…” – La Chiesa siamo tutti, noi! Tutti i battezzati siamo la Chiesa, la Chiesa di Gesù. Da tutti coloro che seguono il Signore Gesù e che, nel suo nome, si fanno vicini agli ultimi e ai sofferenti, cercando di offrire un po’ di sollievo, di conforto e di pace. Tutti coloro che fanno ciò che il Signore ci ha comandato sono la Chiesa».
Non sputare in faccia alla Chiesa mentre stai spezzando un pane che hai mangiato nei suoi atri. Per essere felici su questa terra bisogna rispettare il padre, e la madre. C’è buona probabilità che non avresti detto “non uccidere” se non fossi nato da questa nostra Madre… Se fossi nato sotto l’Isis, Al-Shabab, Boko Haram, Abu Sayyaf, An-nusra e migliaia di altri gruppi, probabilmente avresti sbandierato queste parole come assolute: «Uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati» (Corano IX, 5); oppure «Vorrebbero che foste miscredenti come lo sono loro e allora sareste tutti uguali. Non sceglietevi amici tra loro, finché non emigrano per la causa di Allah. Ma se vi volgono le spalle, allora afferrateli e uccideteli ovunque li troviate. Non sceglietevi tra loro né amici, né alleati» (Corano IV, 89). Sono questi e tanti altri versetti che quelli che chiamiamo terroristi utilizzano per giustificare l’uccisione del fratello in nome di Dio (anche l’uccisione di poveri e inermi scolari).
Per cui ti invito ad apprezzare la tradizione bella da cui attingi. Se non lo vuoi fare da credente, fallo almeno da uomo intelligente, quasi come una scommessa pascaliana. Ammesso che l’uomo è un “animale religioso”, e che, in mancanza di una religione vera, idolatra anche una fogna, (pensa ai totalitarismi), è conveniente scommettere sulla Chiesa, sul cristianesimo. Malgrado i nostri tanti peccati, portiamo come cristiani un valore unico, irrepetibile, empiricamente introvabile sulla faccia della terra.
Ti parlo di tolleranza, di libertà di pensiero, di pluralismo, di perdono, di attività caritativa, di aspirazione mistica,… guarda caso, solo dove è passato il cristianesimo ora c’è democrazia. Se tu parli di amore, di libertà, di pace, di solidarietà, di felicità… volente e nolente, ne parli perché hai mangiato il pane di quella Chiesa… i miei mi hanno insegnato che non si lanciano sassi dal pozzo da cui si attinge l’acqua.
9- Tra castità e castrità
Quando hai parlato di castità, mi hai fatto ridere, ma di cuore! La battuta sui “preti che si tramandano la castità di padre in figlio” è proprio da te. Simpaticissima. Ma, anche qui, si rischia, con umore e sottilmente senza amore, di fare di tutta l’erba un fascio… Oltre alle caricature che hai evocato, ci sono figure eroiche, vere, persone che la castità la vivono come bellissima oblazione d’amore. Non vanno uccise o dimenticate, Roberto. Quelle foreste che crescono in silenzio non vanno segate (per rimanere in tema) per rumoreggiare su qualche albero che cade… un po’ di ecologia, eddaje!
Un’altra cosa: la parola castità, non è un’esclusiva dei preti e dei religiosi…
Hai parlato di una castità buona se “usata con moderazione”. Permettimi di dirti che, cristianamente parlando, è l’unica castità possibile. Bisogna intenderci su cosa sia la “moderazione” però. Spero non intendessi essere casti “a giorni alterni”. Ad ogni modo, siamo d’accordo che gli eccessi non vengono dalla virtù. In medio stat virtus. Quel medio, non è la mediocrità (che è piuttosto un virus), ma il discernimento, l’equilibrio, il giudizio, la sapienza.
Nel caso della castità, moderazione significa viverla come un nome dell’amore e in nome dell’amore. La castità immoderata è repressione, oppressione, è un peccato contro la vita… è una “castrità”. La vera castità non solo è compatibile, ma è proprio necessaria anche al matrimonio, perché crea lo spazio dell’incontro appassionato e passionale, piuttosto che la bulimia del consumo di un altro trattato come oggetto, ovvero “ucciso”.
Mi dispiace per la tua esperienza negativa. Mi dispiace che ci sono ancora cristiani che pensino che l’unico peccato sia il de sexto. E che la telecamera del grande fratello divino inquadra perennemente i nostri genitali… Questa non è la nostra fede. E l’errore di giudizio di un individuo o di un gruppo di individui non dovrebbe sostituire e destituire un valore. Lo sai bene…
Condivido con te quello che un giovane francese durante un mio soggiorno di studio a Angers mi ha raccontato. Guillaume si definiva come un orco che consuma corpi femminili… e un giorno, non so come, gli capitarono tra le mani le catechesi di (san) Giovanni Paolo II sul corpo e la sessualità. Lì, quel ragazzo scoprì una bellezza, una prospettiva, un respiro che non avevo trovato in nessuno dei suoi sport estremi.
Credimi, solo un cuore casto sa amare e sa fare all’amore… e godere il piacevole frutto della gioia… ma alla fine, credo l’abbia detto pure tu.
Un’ultima cosa: hai sottolineato, quasi come un escamotage della chiesa la suddivisione del 9 e 10 comandamento. Io invece ci vedo una grande coscienza e sensibilità saper distinguere tra donna degli altri e roba degli altri… anche qui, in tante culture la donna è un arredo come altri e si può comprare anche in tenera età (basta che ti fai un giro su internet per vedere certi obbrobri). Sono più che fiero che la mia Chiesa ne ha fatti due comandamenti distinti.
10- La Parola più bella
Tornando al quinto comandamento, ho pensato che potevi essere un po’ politicamente scorretto, non solo nei confronti della Chiesa o della politica, ma anche nei confronti della cultura imperante della morte. Mi riferisco al genocidio silente e quotidiano che accade sotto i nostri occhi. Un genocidio spacciato per un tema sensibile: la liberazione della donna, come se la liberazione dovesse attraverso il battesimo con il sangue di uno che, nel momento in cui lo fai fuori, è parte di te e altro da te allo stesso tempo… qui mi è dispiaciuto. Certo, non attirava tanti applausi come tema… ma io un applauso te l’avrei dato…
Hai pure ragionato sul fatto che chi uccide, non può ricevere il perdono di Dio perché il morto non c’è più per perdonarlo e Dio non può dare il perdono per interposta persona. Il ragionamento fila… filerebbe se le dieci parole fossero il non plus ultra come dicevi in alcuni momenti del tuo show: quanto più bello che Dio ci abbia dato e detto. Concordando con te su tante belle interpretazioni, ti dico però che la Parola più bella che Dio ci ha detto non si trova lì scritta su pietra, ma scritta nella carne di Cristo. Cristo è il Logos, la Parola, appunto che Dio ci dà. Quella Parola fatta non di legge, ma di grazia; non di pietra, ma di carne. Ecco, «con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». Lui è divenuto la nostra pace, ovvero, la riconciliazione tra di noi e con Dio. In lui, l'Innocente, il perdono di Dio è aperto a tutti quelli che si pentono. È questa la Parola più bella, la Buona Notizia che non richiama solo allo spettacolo, ma alla concretezza, a una vita quotidiana vissuta nella gioia di essere protagonisti della vera letizia che non è solo cabaret, della vera solidarietà che non è solo denuncia dell’ingiustizia, dell’impegno reale che non è strapagato, ma paga in prima persona.
Le dieci parole sono belle, ma il Logos è il più bello tra i figli dell’uomo. Non è la legge che rende felici, è l’Amore, è l’Amato:
«la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato (Gv 1,17-18).
Che spettacolo quella Parola! È letteralmente divina… letteralmente adorabile!

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