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L'etica in Aristotele

>> lunedì 8 dicembre 2014



C'è un passo dell'Etica Nicomachea che esprime molto bene quali siano gli intenti fondamentali di Aristotele quando scriveva di etica: «...la presente trattazione non si propone la pura conoscenza, come le altre, infatti non stiamo indagando per sapere cos'è la virtù, ma per diventare buoni, perché altrimenti non vi sarebbe nulla di utile in essa.» (E.N. - II) Questo è certamente lo scopo della filosofia pratica, lo è diventato da Socrate in poi, ma se Aristotele ritiene di dover dar vita ad un altro tipo di trattazione, è perché i Dialoghi platonici e l'insegnamento socratico hanno lasciato non pochi motivi di insoddisfazione. In particolare, potremmo definire quelle carenze sotto il titolo della mancanza di praticità.

Discorsi di carattere generale con pretese universalistiche, infatti, raramente colgono la specificità del qui ed ora, del cosa dobbiamo fare noi.
Dato tale scopo pratico, i discorsi universali rischiano di risultare vuoti. «Si devono dire queste cose - scrive Aristotele - non solo in generale, ma le si deve applicare anche ai casi particolari, infatti nei discorsi che riguardano il campo della prassi, quelli universali sono più vuoti, quelli particolari più veritieri. Infatti le azioni riguardano i casi particolari, ed è necessario adeguarsi ad esse.» (E.N. - II,7).

Cliccare qui per il testo in PDF dell'Etica nicomachea; nel video invece una magistrale lezione del professor Berti su di essa.

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