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Che cos'è lo Stato?

>> lunedì 17 ottobre 2011



Nel 1838 Pierre-Joseph Proudhon ricevette una borsa di studio istituita dall'Accademia di Besançon a seguito di un lascito di una certa Madame Suard. Due anni dopo, nel 1840, iniziò a redigere una Memoria di argomento sociale ed economico che apparirà quello stesso anno sotto il titolo Qu'est ce que la propriété?
Per evitare che passasse inosservata Proudhon prese due decisioni magistrali:
1.     la prima fu quella di dedicare la sua Memoria ai membri dell'Accademia che, in tal modo, furono quasi costretti a leggerla ed essendo, per lo più, di animo conservatore, rimasero scandalizzati da alcune affermazioni e cercarono di far ritirare la dedica; così facendo, come previsto dall'autore, generarono abbastanza chiasso da sollecitare la curiosità delle persone, moltiplicando il numero di lettori;
2.     in secondo luogo Proudhon produsse una definizione della proprietà (La proprietà è il furto) che è diventata famosissima anche presso coloro che sanno poco di Proudhon, non hanno mai letto una riga di quanto da lui scritto e ignorano del tutto che Proudhon, nonostante la sua definizione ad effetto, può essere annoverato tra i grandi difensori della proprietà personale come contrappeso indispensabile allo stato espropriatore e tirannico.

Alcuni anni più tardi, un altro autore nato in Francia, si pose un interessante interrogativo: Che cos'è lo stato? Frédéric Bastiat, questo era il suo nome, giudicava talmente importante rispondere a tale interrogativo che pensava sarebbe stato utile istituire un premio “non di cinquecento franchi, ma di un milione di franchi, con attribuzione di corone d'alloro, croci al merito e nastrini, per premiare colui che offrirà una definizione buona, semplice e intelligente di questo termine: lo Stato”. (Lo Stato, 1848)
E, sulla spinta di questa sua esigenza, egli produsse la sua definizione di stato, una definizione rimasta in ombra per parecchio tempo (nessuno di noi ne ha mai preso conoscenza nelle scuole di stato) ma che sta circolando sempre più tramite Internet, in una sorta di passaparola universale, e che sta diventando anch'essa giustamente celebre, come è avvenuto per quella di Proudhon sulla proprietà.
Eccola: “Lo stato è la grande illusione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri.”
Non si può certo negare che questa è una definizione del tutto precisa e veritiera, acuta e penetrante al massimo. In una parola, geniale. Io stesso l'ho usata varie volte nei miei scritti e interventi perché coglie totalmente quella che è la natura dello stato: illudere, e poi illudere, e poi illudere ancora.
Eppure, e qui voglio fare l'avvocato del diavolo, da qualche tempo a questa parte mi trovo a considerare questa definizione troppo sottile, troppo bella o, in altre parole, troppo buona nei confronti dello stato. Con questo non ho nulla né contro Bastiat che era un individuo dall'animo nobile né contro questa affermazione che trovo ancora geniale.
Ho soltanto la sensazione che Bastiat abbia, con la sua frase, caratterizzato lo stato come era più di 150 anni fa, quando stava invadendo tutta la società ma non l'aveva fatto ancora nelle forme e nei modi estesi, asfissianti e intollerabili dei giorni nostri. Lo stato, ai tempi di Bastiat, non aveva ancora provocato due guerre mondiali, istituito campi di sterminio di massa, organizzato il Gulag, le carestie, le espulsioni di massa. In sostanza, ai suoi tempi, lo stato non era ancora il massimo artefice di una politica metodica di sterminio e di oppressione di massa.
Per cui, se uno ha conoscenza di tutto il male prodotto da questa entità chiamata stato dal 1850, anno in cui morì Bastiat, fino ad a oggi, definire lo stato solo come una “illusione” potrebbe apparire quasi equivalente a qualificare Hitler e Stalin come due garzoncelli birichini e maleducati.
Forse c'è bisogno di una nuova definizione di Che cos'è lo stato, che abbia in sé la forza scandalosa che ebbe la definizione di Proudhon applicata alla proprietà.
Forse, davvero, dovremmo istituire un premio, niente denaro in palio, solo la riconoscenza infinita di tutti coloro che si approprieranno della definizione migliore come un'arma contro l'oppressione e l'alienazione.
Io qui ci provo ma non credo di essere, da solo, all'altezza dell'impresa.
Purtroppo, per congegnare una espressione breve, ad effetto, devo fare ricorso alla lingua francese anche se è un francese che tutti capiscono o per lo meno intuiscono. Alla domanda: Qu'est-ce-que l'état, io rispondo:
L'état c'est le dégât
Lo stato è il degrado totale, la corruttela universale, il mercimonio generale.
Lo stato è la violenza praticata come principio, il furto organizzato come legge, l'imbroglio esercitato come regola di vita.
Lo stato è l'immoralità assoluta, la ragione sragionante, la follia permanente e insistente che si impadronisce delle esistenze di tutti.
Nietzsche in una delle sue lucide affermazioni definì lo stato “il luogo in cui il lento suicidio di tutti è chiamato vita.” (Così parlò Zarathustra)
Lo stato in sostanza è una realtà insensata, uno stato di calamità, di sfruttamento, di alienazione, di insoddisfazione e di sconforto profondi e continui. Per questo, coloro che parlano di “senso dello stato” dovrebbero suscitare, nelle persone che conservano ancora un minimo di lucidità mentale e di onestà morale, un senso infinito di schifo, di ribrezzo, di disgusto e di nausea.
Ecco, lo stato è la morte morale e mentale di tutti. Per questo dobbiamo scrollarci di dosso lo stato, per ritornare a vivere.
Ma, come ha detto giustamente Gustav Landauer, lo stato “non è qualcosa che possiamo infrangere in mille pezzi in modo da distruggerlo. Lo stato è un rapporto di relazioni tra esseri umani … e lo si distrugge dando vita a nuove forme di relazione.”
E questo ritornare a vivere, generando nuove relazioni sociali tra esseri umani rinati è il nostro compito nei mesi e negli anni a venire

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