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Fandonie leghiste...

>> venerdì 5 aprile 2013


Mi riferisco ad un recente intervento del governatore lombardo Roberto Maroni. Da un lato, va apprezzata la ricercatezza, anche lessicale, di cui l’ex ministro ha dato prova; vanno rilevate, per altro verso, le ragioni di dissenso, su pressoché tutti i punti di merito, dalle opinioni da lui recate.
Mi limito qui a porre due sole questioni. Sull’una di esse, e cioè sul problema dell’evasione, dirò diffusamente in questo scritto. L’altra concerne il ruolo rivendicato dalle Lega ed affermato dal presidente Maroni, che è quello di “rappresentare e tutelare gli interessi di quella macroregione all’avanguardia rispetto all’intera Europa che noi chiamiamo Padania”. Vi è evidente contraddizione tra questo assunto (e i conseguenti comportamenti) e la natura del nostro ordinamento costituzionale, quale è bene espressa nell’art. 67 della Costituzione: “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”, e non una parte di essa, comunque rilevante. Potrebbe darsi che si formi (o sia già formata), con una analoga logica, la “lega” dei farmacisti, o dei tassisti, fino a trasformare il Parlamento in una camera delle corporazioni.
In ogni caso, la deriva nella direzione non del federalismo fiscale, ma del confederativismo tribale è divenuta oggi così forte che un ex ministro della Repubblica può rinnegare senza nemmeno accorgersene il significato ultimo di un testo su cui ha giurato fedeltà.
La vera ragione di questo mio scritto, che ho sentito il dovere, comunque, di produrre, è tuttavia altra. Essa consiste nell’affermazione dell’ex ministro, secondo la quale “l’evasione al Sud è mediamente il doppio [rispetto al Nord], con punte che sfiorano il novanta per cento”. 

Preoccupa dover constatare che persona intelligente e attrezzata come l’on. Maroni mostri di non sapere quello che dice, e rischi in tal modo di rafforzare convincimenti gravemente sbagliati.
Non ha senso dire che la quantità di ricchezza evasa nel Mezzogiorno è il doppio rispetto a quella evasa nel Nord d’Italia, perché, semplicemente, questa cosa è impossibile. Né ha senso dire che la quota di ricchezza imponibile che è evasa nel Mezzogiorno è maggiore (è addirittura il doppio; è del 90% maggiore), rispetto a quella che i cittadini del Nord d’Italia sottraggono al fisco, perché ciò nega tutte le evidenze che sono disponibili. Cito qui le (plausibili) valutazioni di Ardizzi, Petraglia, Piacenza, Turati, pubblicate da quella organizzazione di acerrimi ed estremi meridionalisti che è l’Università Bocconi di Milano: il sommerso cresce, nel Centro-Nord, tra il 2005 e il 2008, dal 28,1% al 35,4% del totale dell’economia; i valori corrispondenti per il Mezzogiorno vanno dal 16,9% del 2005 al 21,8% del 2008.
La SVIMEZ, allorché una precisazione analoga a quella recata in questo scritto si è resa necessaria, ha seguito la linea di ragionamento che esemplificativamente riporto: secondo dati ufficiali del Ministero dell’Economia il valore della base imponibile IRPEF per contribuente del Mezzogiorno è pari, per il 2009 (dichiarazioni 2010), a € 15.548; per quelli del Veneto, il valore corrispondente è di € 19.206. Non serve grande competenza finanziaria, o matematica, per stabilire che questi valori costituiscono l’84,8% del PIL pro capite nel Mezzogiorno ed il 66,3% del PIL pro capite per il Veneto.
Se ci riferiamo ai valori dell’imposta netta nelle due zone d’Italia, l’importo per contribuente dell’IRPEF 2009 (dichiarazioni 2010) è pari, per il Mezzogiorno, a € 3.818 e, per il Veneto, a € 4.573. Questi importi corrispondono, rispetto al PIL, al 22,1% nellaprima circoscrizione ed al 17,2%, per i contribuenti della fortunata Regione italiana che ha la ventura invidiabile di avere il ministro Maroni tra i suoi esponenti politici più rappresentativi (e non lo dico per ironia).
Se ragioniamo con riferimento non al numero dei contribuenti, ma al numero degli abitanti, risulta per il Mezzogiorno un valore della base imponibile per abitante pari a € 8.943 (per il Veneto, € 13.560). L’incidenza di questi importi sul PIL è pari al 51,7% per il Mezzogiorno ed al 48,6% per il Veneto. Il rapporto tra imposta netta corrisposta dai contribuenti e il PIL (riferendo l’una e l’altra grandezza al numero degli abitanti) mostra valori pari al 9% per il Veneto e l’8,7% per il Mezzogiorno.
Il ragionamento proposto dalla SVIMEZ è ora il seg uente: l’IRPEF costituisce, in Italia, il principale strumento attraverso il quale è perseguito l’obiettivo della progressività del sistema dei tributi (art. 53, comma 2, della Costituzione) e cioè l’obiettivo che le risorse dei più ricchi concorrano in maggiore misura al finanziamento delle spese pubbliche. Fra l’altro, la progressività dell’IRPEF costituisce strumento volto a compensare la regressività grave di altri tributi, come l’IVA, le accise, le imposte sui giochi – pronostici. I dati che ho riportato, nonché quelli proposti in tabella, mostrano che la progressività dell’IRPEF è, in via di fatto, assai bassa; l’imposta risulta, anzi, rispetto al PIL grosso modo proporzionale (9% per il Veneto; 8,7% per il ,Mezzogiorno).
Se fosse vero, per mero assurdo, quanto afferma l’ex ministro Maroni e con lui la Lega, secondo i quali l’evasione nel Sud d’Italia è maggiore rispetto al Centro Nord, la stessa IRPEF risulterebbe regressiva, nel senso che l’imposta dovuta (ed in parte secondo l’ex ministro non corrisposta) dai più poveri risulterebbe percentualmente maggiore rispetto a quella dei ricchi. Perché tutto ciò non può essere, l’affermazione secondo la quale l’evasione nel Mezzogiorno è doppia, o addirittura del 90% maggiore rispetto a quella del Centro Nord è mera stravaganza.


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